
RAPPORTO SVIMEZ, UNO SGUARDO AI DATI DELLA CAMPANIA
5 Novembre 2019Pubblicato il rapporto Svimez. Il documento evidenzia come nel 2019 il mezzogiorno si trovi in una condizione di recessione con il Pil al -0,2%, che il reddito di cittadinanza allontani le persone dal lavoro e poi il dato impietoso dell’emigrazione: dal 2000 ad oggi due milioni hanno lasciato il sud. Per la Campania della crescita zero, tante le bocciature ed anche qualche positività su edilizia, bioeconomia, infrastrutture ed energie alternative.
Nell’articolo ci concentreremo sui dati dedicati alla Campania (sempre rapportati al Sud) fanalino di coda dopo la Calabria(-0,3%) ad attestarsi sul dato impietoso di crescita zero.Sintetizzando non un passo indietro ma nemmeno uno in avanti.
CAMPANIA – CRESCITA ZERO DEL PIL – BENE LE COSTRUZIONI MALE L’INDUSTRIA
In Campania, nel 2018, è crescita zero del PIL, per effetto di andamenti soddisfacenti nelle costruzioni neutralizzati da andamenti meno soddisfacenti nel resto dei settori. Ciò dopo che nel 2017 il prodotto lordo aveva continuato a crescere dell’1,8%. Nella regione, le costruzioni vanno bene (+4,7%), l’agricoltura si attesta a +1,1%, mentre l’industria in senso stretto realizza un modesto +0,5%. In controtendenza i servizi, che pesano molto sul complesso dell’economia
campana, in calo di -0,3%.
REDDITO DI CITTADINANZA – COSA PENSA SVIMEZ?
La SVIMEZ giudica utile il Reddito di cittadinanza ma la povertà non si combatte solo con un contributo monetario, occorre ridefinire le politiche di welfare ed estendere a tutti in egual misura i diritti di cittadinanza. Peraltro l’impatto del RdC sul mercato del lavoro è nullo, in quanto la misura, invece di richiamare persone in cerca di occupazione, le sta allontanando dal mercato del lavoro.
CAMPANIA – IL MERCATO DEL LAVORO – CALA L’OCCUPAZIONE
Nel Mezzogiorno, l’occupazione, nella media dei primi due trimestri del 2019, è in calo in Abruzzo, Campania, Calabria e Sicilia, mentre cresce sensibilmente in Molise, Puglia, Basilicata e, soprattutto, Sardegna.
Nello stesso periodo calano, se pur di poco, gli inattivi di 15-64 anni (–33 mila rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente –0,3%), diminuzione che riguarda solo il Centro-Nord (–66mila unità pari al –0,9%), mentre nel Mezzogiorno aumentano di circa 33 mila unità (+0,5%).
Misurando la differenza con il 2008, e dunque gli effetti prodotti dalla lunga recessione, i livelli occupazionali a fine 2018 erano ancora molto distanti da quelli pre-crisi in quasi tutte le regioni: – 7,8% in Sicilia, di poco meno in Calabria (–5,7%), Molise (–5,0%), Puglia (–4,6%), Basilicata (–3,6%), Sardegna (–3,3%) e Abruzzo (–2,4%). Solo la Campania si colloca su valori intorno a quelli del 2008 (–0,4%).
CAMPANIA – LA POPOLAZIONE – CONTINUA LO SPOPOLAMENTO DELLE AREE INTERNE
Continua il processo di spopolamento dei piccoli centri, in particolare dei comuni della dorsale appenninica e insulare, non compensato dall’afflusso di immigrati. Dal 2015, infatti, il rallentamento dei flussi di immigrati, unito alla nuova migrazione italiana, hanno contribuito al calo della popolazione totale, che ha interessato anche i medi e grandi centri urbani della penisola.
La popolazione italiana si riduce di più nel Mezzogiorno. Le immigrazioni non compensano le perdite e contribuiscono ad aggravare gli squilibri tra Nord e Sud.
Il Trentino-Alto Adige è la regione italiana con il più alto tasso di natalità (9,0 per mille), seguito dalla Campania (8,3 per mille), dalla Sicilia (8,1 per mille) e dalla Calabria (7,8 per mille). Tra le più basse, invece, la natalità della Liguria (5,8 per mille), della Sardegna (5,7 per mille), del Molise (6,2 per mille). La Liguria, si conferma la regione con il tasso di mortalità più elevato (14,3 per mille), mentre il Trentino-Alto Adige (8,8 per mille), si conferma la regione con il tasso di mortalità più con tenuto.
CAMPANIA – CONTINUA A PERDERE GIOVANI E POPOLAZIONE ATTIVA
Secondo le proiezioni dell’ISTAT, nel 2065 la popolazione residente in Italia sarà pari a circa 54 milioni persone, con una perdita di oltre 6 milioni rispetto al 2017 (60.483.973). In questo scenario, secondo la SVIMEZ, il Mezzogiorno perderà una parte consistente delle sue forze più giovani (fino a 14 anni), pari a –1 milione e 46 mila unità, e di quella in età da lavoro (da 15 a 64 anni), pari a –5 milioni e 95 mila unità, per effetto di un progressivo calo delle nascite e di una continua perdita migratoria.
Tutte le regioni meridionali saranno interessate da un drastico calo della natalità e dunque del saldo naturale, contrastato da una immigrazione dall’estero apprezzabile solo per l’Abruzzo e la Sardegna; al contrario, la Campania e la Puglia sembrerebbero essere interessate da un saldo migratorio continuamente negativo: le immigrazioni dall’estero non sembrano in grado di compensare le perdite migratorie interne.
Tra le regioni del Mezzogiorno che nel complesso vedono accrescere i saldi negativi dei flussi verso l’estero, sino a superare le 20 mila unità annue nell’ultimo triennio, il fenomeno è particolarmente grave in Sicilia, Calabria e Sardegna, relativamente meno in Campania e Puglia. Tra quelli che scelgono di andarsene, crescono gli emigrati in possesso di un’elevata preparazione professionale e culturale. Rispetto alle altre regioni del mezzogiorno, che si attestano tutte entro o oltre il 30%, perdiamo meno giovani laureati( Campania al 29,1%). Resta il dato negativo delle migrazioni interne: 31400 sono i campani che lasciano la loro terra ogni anno prevalentemente preferendo la Lombardia nel Nord ed il Lazio nel centro Italia. In pochi decidono di trasferirsi dal Nord al Sud in cerca di fortuna.
CAMPANIA – LA CONDIZIONE DEL LAVORO FEMMINILE – “PEGGIO SOLO L’ISOLA DI MAYOTTE (COLONIA FRANCESE NELL’OCEANO INDIANO)”
Tra il 2008 e il 2018 l’occupazione femminile cresce significativamente in Europa (+6,3%, pari al +0,6% in media all’anno), in misura più sensibile rispetto a quella maschile (+1,2%, pari al +0,1% in media all’anno). L’Italia si colloca poco al di sotto della media UE (+0,5%). Nel periodo preso in esame complessivamente in Italia l’occupazione femminile sale più velocemente nel Centro-Nord (+0,6% all’anno, a fronte del +0,3% del Mezzogiorno): il divario è particolarmente apprezzabile negli anni della crisi (+0,3%, a fronte del –0,5% delle regioni meridionali), mentre diventa favorevole al Mezzogiorno durante la ripresa (+1,6% all’anno tra il 2014 e il 2018, a fronte del +1,0% nel Centro-Nord). Terziarizzazione dell’economia e crescenti livelli d’istruzione sono i principali driver di questa evoluzione.
Le regioni del Mezzogiorno, sensibilmente distanziate da quelle del Centro-Nord, si collocano tutte nelle ultime posizioni, con Basilicata, Puglia, Calabria, Campania e Sicilia nelle ultime sei con valori del tasso di occupazione intorno al 30-35%, di oltre 30 punti inferiori alla media europea. Solo l’isola di Mayotte dei domini d’oltre mare francesi si colloca al di sotto (277°; 25,4%).
CAMPANIA – EMIGRAZIONE OSPEDALIERA STABILE
La quantità e qualità dei servizi sociali nel Mezzogiorno risultano ancora decisamente inferiori a quelle del resto del Paese. Questo spiega un più elevato tasso di emigrazione ospedaliera verso le regioni del Centro-Nord, riferito ai casi di ricovero per interventi chirurgici acuti. Nel Mezzogiorno circa il 10% del totale dei residenti ricoverati per tali patologie si sposta verso altre regioni, a fronte di valori compresi tra il 5% e il 6% nelle regioni del Centro-Nord. Il tasso di emigrazione si riduce in Basilicata e Sicilia, resta sostanzialmente stabile in Campania e aumenta in tutte le altre regioni meridionali. Il basso tasso di gradimento dei servizi sanitari al Sud dipende da numerosi fattori, ambientali, strutturali e organizzativi, ma anche da una meno consistente dotazione di posti negli istituiti di cura.
CAMPANIA – SCOLARIZZAZIONE E DIVARI DI COMPETENZE
L’ultimo rapporto INVALSI mostra che il nostro Paese deve affrontare un sensibile divario territoriale delle competenze dei giovani. La qualità degli apprendimenti diminuisce in maniera sensibile spostandosi da Nord a Sud. I divari relativamente piccoli nella scuola primaria crescono nella secondaria inferiore e ancor di più in quella superiore. Tra le regioni del Sud i livelli mediamente più bassi si rilevano per Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna. In presenza di una spesa per studente di poco superiore nel Centro- Nord (5- 6%), vanno valutate possibili differenziazioni in termini di numero e distribuzione delle scuole, anzianità dei docenti e maggiore o minore precarietà del corpo docente stesso. Nel Sud, inoltre, è minore l’apporto degli enti locali che influiscono sulla qualità dei servizi alla scuola che nel Mezzogiorno registra livelli qualitativamente inferiori: si pensi ai trasporti, alle mense scolastiche, ai materiali didattici. Pesa, inoltre, sui risultati in termini di apprendimento del Sud il contesto economico-sociale e territoriale. Il ritardo generale di quest’area – il più alto tasso di disoccupazione, la più elevata diffusione di condizioni di povertà ed esclusione sociale, la minore istruzione delle famiglie di provenienza e soprattutto la minor dotazione di servizi pubblici efficienti – rende il compito della scuola chiaramente più difficile che in altre parti del Paese.
CAMPANIA – NON PROFIT, SIAMO “SCARSAMENTE PRODUTTIVI”
La quota dei soggetti market (orientati a vendita di prodotti e servizi sul mercato) è in crescita di 2,6 punti percentuali rispetto al 2011, un timido segnale che incide in modo residuale sul predominio degli enti non market. A livello di tipologie giuridiche soltanto tra le cooperative sociali – che sono in totale il 4,8% dell’universo non profit – prevale la componente market (4,1%) su quella non market (0,6%). Il non profit meridionale presenta evidenti limiti con un valore di circa due terzi in meno rispetto al valore produttivo della ripartizione territoriale più dinamica (Nord- Ovest).
La distribuzione delle entrate mostra importanti differenze a livello di area geografica, il 35,3% dei ricavi viene prodotto nel Nord-Ovest ripartito in un 27,1% proveniente dalle organizzazioni market e 8,2% da quelle non market, la sola regione Lombardia produce il 68,2% dei ricavi della ripartizione territoriale.
Seguono il Centro con una partecipazione del 33,6% ai ricavi complessivi (22,5% market e 11,2% non market) e il Nord-Est nella misura del 19,1% (13,8% market e 5,2% non market). Il Mezzogiorno è fanalino di coda con una partecipazione alle entrate del 12,0% (8,5% market e 3,5% non market) valore concentrato, peraltro, soprattutto in tre regioni (Sicilia 24,7%, Puglia 24,2% e Campania 20,2%).
È la Calabria con un valore di 52.123 euro medi per ente non profit, la regione con il livello più basso di produttività mentre la regione con la migliore performance è la Puglia con 121.412 euro per organismo. Discreti livelli di produttività si rilevano anche nella regione Sardegna (103.329 euro) e in Sicilia (100.458 euro). Seguono in modo decrescente la Basilicata (91.178 euro per organizzazione), la Campania (88.529 euro), il Molise (82.872 euro) e l’Abruzzo (74.900 euro). La Campania pur vantando un elevato numero di organismi (19.252) mostra un non profit scarsamente produttivo, poco coerente con le basi imprenditoriali territoriali relativamente solide.
CAMPANIA – IL PESO DELL’ECONOMIA ILLEGALE SULLO SVILUPPO – “LA CAMORRA CI STRANGOLA”
Il numero totale dei beni (immobili e aziendali) confiscati in via definitiva ammonta attualmente a 36.418. Di questi, 32.448 sono beni immobili e 3.970 sono beni aziendali. In relazione, invece, allo stato della procedura di destinazione del bene: il 55% dei beni sia immobili che aziendali è ancora in gestione dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e della destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC), mentre il 45% è già stato destinato definitivamente.
Tuttavia, nonostante le regioni meridionali possano vantare una sorta di primato per quanto riguarda la presenza di beni confiscati alla criminalità organizzata, è interessante individuare le prime sei regioni che si contraddistinguono per incidenza maggiore di beni immobili in gestione e destinati. Le prime tre posizioni sono ricoperte dalle regioni meridionali note per le particolari caratteristiche e la lunga tradizione che contraddistingue la criminalità organizzata: Sicilia, Campania e Calabria. Si tratta, nello specifico, di Cosa nostra siciliana, della camorra campana e della ’ndrangheta calabrese. Fuori dal podio si ritrova un’altra sola regione meridionale, ovvero, la Puglia. Un’incidenza rilevante di beni immobili confiscati alla mafia è evidente anche in regioni come la Lombardia e il Lazio, a testimonianza del fatto che il fenomeno della criminalità organizzata non può e non deve più essere pensato e – di conseguenza combattuto – come un fenomeno che interessa e colpisce le sole regioni meridionali. Queste regioni da sole, dunque, ospitano l’82% dei beni immobili in gestione e il 94% dei beni immobili destinati. Sul totale dei beni immobili destinati, l’83% è sito nelle regioni meridionali e il 17% al Centro-Nord.
CAMPANIA – LE POLITICHE DI COESIONE – POR, PON, FESR E FSE
Sulla base della proposta della Commissione UE, le risorse comunitarie per le Politiche di Coesione a disposizione dell’Italia per il post 2020 ammontano a circa 43,46 miliardi di euro a prezzi correnti, contro i circa 36 miliardi del periodo 2014-2020. Circa 42,4 miliardi di fondi europei andranno ripartiti tra le Regioni. A queste risorse si dovrà aggiungere la parte di risorse di cofinanziamento nazionale della quale, però, non si è ancora discusso. In attesa delle decisioni e dei conseguenti calcoli che porteranno a definire la quota di risorse complessive (nazionali e comunitarie) e la loro ripartizione, si può comunque affermare che per il ciclo 2021-2027 in totale si potrà disporre di circa 60 miliardi di euro per le Politiche di Coesione, di cui il 70% (in precedenza era il 75%) destinato alle Regioni meno sviluppate.
Le Regioni meno sviluppate salgono da 5 (Campania, Calabria, Puglia, Basilicata e Sicilia) a 7, con l’aggiunta di Molise e Sardegna, Regioni in transizione nel precedente periodo di programmazione. Le Regioni in transizione sono 3: l’Abruzzo (già presente nel ciclo 2014-2020), l’Umbria e le Marche, in precedenza considerate Regioni più sviluppate. Gli ambiti tematici sui quali far confluire le risorse sono quattro: lavoro di qualità, territorio e risorse naturali per le
generazioni future, omogeneità e qualità dei servizi per i cittadini, cultura veicolo di coesione economica e sociale.
I ritardi nell’attuazione del ciclo 2014-2020
L’avanzamento del ciclo di programmazione 2014-2020 che si completerà il 31 dicembre 2023, indica che, a fronte dei circa 54,3 miliardi di euro complessivamente programmati nell’ambito dei Fondi FESR e FSE, risulta un avanzamento del 49,34% in termini di impegni e del 23,66% in termini di pagamenti (l’importo degli impegni e dei pagamenti comprende sia la quota UE sia la quota nazionale). Nelle Regioni meno sviluppate del Sud va molto peggio: i dati medi degli impegni e dei pagamenti dei POR della Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia sono pari, rispettivamente, al 37,46% e al 19,78% delle dotazioni finanziarie. I valori medi di attuazione per queste regioni sono inferiori di circa 7 e 4 punti percentuali rispetto al dato medio complessivo di tutti i POR. Per i PON, lo stato di attuazione, in relazione agli impegni, è più avanzato rispetto ai POR di tutte le regioni, ma soprattutto di quelle meno sviluppate, dove costituiscono il 57,2% del contributo assegnato (a fronte del 37,5% dei POR) mentre la differenza tra PON e POR registra performance pressoché analoghe riguardo all’andamento dei pagamenti.
Dei circa 3 miliardi di spesa da certificare, 1,85 miliardi riguardano i POR del Mezzogiorno, in particolare quelli delle Regioni meno sviluppate. La maggior parte delle risorse da certificare sono concentrate in Campania, Puglia, e soprattutto Sicilia: rispettivamente circa 403,7, 526,1 e 603,9 milioni di euro.
CAMPANIA – REGIONE PIU’ COMPETITIVA PER DOTAZIONI INFRASTRUTTURALI IN RAPPORTO ALLA POPOLAZIONE
Nel ranking regionale infrastrutturale dell’UE a 28, la regione del Mezzogiorno più competitiva è la Campania, che occupa una posizione alla metà della graduatoria (134° su 263), seguita da Abruzzo (161°), Molise (163°), Puglia (171°), Calabria (194°), Basilicata (201°), Sicilia (207°) e Sardegna (225°). Ma anche le Regioni più competitive del nostro Paese si collocano comunque su posizioni di retroguardia, come Lazio (65°), Lombardia (69°), Emilia-Romagna (73°) e Piemonte(82°).
CAMPANIA – BENE SU BIOECONOMIA ED ENERGIE ALTERNATIVE
Da diversi anni la SVIMEZ ha scelto di inserire il tema della bioeconomia e dell’economia circolare all’interno delle analisi sui possibili drivers dello sviluppo del Mezzogiorno. La SVIMEZ, da aprile 2019, ha avviato un gruppo di lavoro per realizzare un progetto di ricerca su «Le origini, l’evoluzione e le prospettive della Bioeconomia e dell’Economia circolare in Italia e nel Mezzogiorno», dedicato ad analizzare l’impatto e le potenzialità di queste tematiche per l’industria meridionale.
Importante il ruolo assunto dal Mezzogiorno nella crescita delle nuove fonti energetiche rinnovabili (fotovoltaico, eolico, bioenergie): è qui, infatti, che nel 2013 si concentrava il 52,7% della potenza installata, con un peso particolarmente significativo di Puglia, Sicilia e Campania (pari, rispettivamente, al 16,7%, al 10% e al 7% del totale nazionale).
Sud protagonista di una nuova fase industriale nella bioeconomia
L’ESEMPIO NOVAMONT A CASERTA
Tra i diversi settori di punta della bioeconomia e dell’economia circolare presenti nel Mezzogiorno particolare rilievo assume quello della chimica verde. Il Sud, infatti, è già oggi protagonista di una nuova fase industriale, che coinvolge le comunità locali, il mondo della ricerca, l’industria, nuove imprese, agricoltori e istituzioni locali in un’opera di rivitalizzazione del tessuto produttivo, superando la logica del lavoro contrapposto alla tutela ambientale. Gli esempi più importanti li offrono Novamont in Campania, ENI in Sicilia, Matrìca in Sardegna, Fater in Abruzzo, ma non mancano le PMI innovative e le Università e i centri di ricerca di eccellenza: tutte realtà che guardano alla transizione verso un modello di bioeconomia circolare. In provincia di Caserta (a Piana Monte Verna) si trova il centro di ricerca sulle biotecnologie di Novamont. Un caso esemplare di come la bioeconomia possa contribuire a ridare slancio a realtà in
crisi. L’impianto del gruppo guidato da Catia Bastioli altro non è che il ramo d’azienda di Tecnogen, il centro di ricerca sulle biotecnologie controllato da Sigma Tau Finanziaria, che è stato a lungo in liquidazione prima che fosse acquistato da Novamont alla fine del 2012. La chiusura di Tecnogen avrebbe comportato la perdita di uno straordinario patrimonio di strumentazioni e tecnologie per lo sviluppo dei processi fermentativi e la dispersione di importanti competenze e conoscenze maturate in questi anni sul territorio campano. Novamont ha impedito che questo patrimonio venisse dissipato, creando un centro d’eccellenza sulle biotecnologie industriali.