
CINGHIALI PIÙ “PROLIFICI” DI PARLAMENTARI E CONSIGLIERI REGIONALI
24 Agosto 2021È in capo alla regione la responsabilità politica della distruzione delle colture e il rischio sempre più elevato d’incidenti per la mancata gestione della proliferazione dei cinghiali. Senza la genesi di nuove norme e fondi dal Governo, tuttavia, la burocrazia resterà infinita, come l’emergenza. Nessun rappresentante politico irpino a Roma si è fatto carico del fenomeno – forse neppure sollecitato dai livelli regionali – le distanze tra territorio e rappresentanza si allargano
Il cinghiale, ora, fa paura. Bussa alle porte dei bar nei centri urbani. Ha fame e distrugge campi coltivati. Deprezza uve e vini di straordinaria qualità. Sbuca sulle strade e provoca incidenti.
Per gli abbattimenti in deroga, la vecchia legge regionale sulla caccia, è stata bloccata da ricorsi. L’ingorgo burocratico impedisce l’adozione di piani di straordinari di controllo che necessitano di decine di pareri e lunghi mesi, ancora più lunghe le strade per adottare metodi alternativi alla caccia. Il problema esplode e neppure quest’anno si risolverà definitivamente.
Agricoltori, sindaci, esponenti del mondo universitario, gli stessi politici se interpellati: confermano, tutti, che l’emergenza è senza precedenti, da record.
Il lockdown ha frenato la caccia, i rimpalli di responsabilità tra uffici regionali hanno frenato le autorizzazioni ai controlli chieste dalla giunta regionale.
Ad ore prenderanno il via le attese battute di caccia selettiva che non risolveranno il problema, diventato molto più complesso: sia per la capacità dei cinghiali di riprodursi e prolificare (rimanendo una specie protetta), sia per l’incapacità di governare il territorio distinguendo, con efficacia, zone di riserva e parchi protetti; a peggiorare il quadro c’è l’elevato numero d’incendi che sta alterando, ancora una volta, i delicati equilibri ambientali.
Ci sarebbe bisogno di un intervento straordinario del Governo sul tema. Lo ha confermato anche l’assessore regionale all’agricoltura, Nicola Caputo, che sta cercando, nonostante tutto, di mettere toppe ad un sistema in difficoltà da decenni.
Servono tanti fondi – basti pensare che nel 2020 per la sola provincia di Avellino sono stati ristorati danni per un milione di euro, e solo in ambito civile – ma soprattutto, servono nuove leggi e approcci diversi al fenomeno.
Per fare qualche esempio: i dipendenti pubblici rischiano penalmente nel concedere l’okay a battute di caccia non rispettose di tutte le norme. Anche gli studiosi della materia che volessero adottare la cattura, come criterio alternativo all’abbattimento, senza il supporto legislativo, sono passibili di denunce poiché bisogna intervenire sulla fascia giovane della popolazione ungulata.
Occorre creare cioè una cornice di leggi: che da un lato consenta di tamponare l’emergenza – indipendentemente dall’essere a favore o contro le doppiette – dall’altro snellisca l’iter dei pareri.
D’altronde non c’è altra strada: solo mettendo insieme agricoltura, caccia e ambiente, politica e amministrazione, si potrà riuscire a vincere la sfida. Ascoltate le parti andrebbe definita la norma, impresa tutt’altro che semplice, ma da affrontare con lavoro sodo.
Dai parlamentari, purtroppo, neppure uno sfiato di tromba rispetto all’emergenza che si estende da un capo all’altro della provincia avellinese. Magari neppure i rappresentati irpini a Santa Lucia hanno sottoposto loro la necessità.
In attesa d’impegni concreti e la genesi di nuove leggi, la certezza: i cinghiali restano molto più “prolifici”.