
DI MAIO E QUELL’ATTACCO (ININFLUENTE) AI GIORNALISTI ITALIANI
12 Novembre 2018La libertà di stampa, al di là di slogan e utopie, è assicurata da una classe imprenditoriale connotata da una diversità di orientamenti politici che, investendo risorse nel settore dell’editoria, la sostiene e la alimenta.
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Intendiamoci subito, le parole di Luigi Di Maio contro i giornalisti sulla vicenda Raggi sono gravissime, inopportune, per niente degne di chi ricopre un ruolo istituzionale come quello di Ministro dello sviluppo economico e vice Premier.
Parole già diffusamente censurate in tutto il Paese con il solito eccesso di “caifite”, che è quella propensione a stracciarsi le vesti con troppa disinvoltura che caratterizza certi intellettuali. In particolare quelli che hanno la presunzione della superiorità morale, di essere gli unici depositari del valore della democrazia. Di quelli che sono convinti che tutto ciò che sta al centro e a destra dello scenario politico sia potenzialmente un rischio per la tenuta dell’ordinamento democratico. Figuriamoci tutto quello che è difficile catalogare, se non nell’alveo poco definito del populismo, come il M5S.
Scusate, ma la storia che il diritto alla libertà di espressione sia messa in pericolo dal turpiloquio del vice premier non mi convince. Né mi pare fondata l’ipotesi che, in tempi di social, blog, siti web, i giornalisti possano essere ridotti al silenzio. Sarebbe stato più opportuno, invece, evidenziare al vice Presidente e leader dei grillini che i metodi che egli imputa a certa stampa sulla vicenda Raggi sono gli stessi che hanno caratterizzato il becero giustizialismo di quando erano all’opposizione. Lo stesso in ragione del quale, ad esempio, Stefano Graziano è stato crocifisso dagli esponenti pentastellati per accuse che la Magistratura ha poi definitivamente dichiarato infondate, a differenza del Sindaco di Roma che per ora ha incassato, sì, un giudizio di assoluzione, ma solo di primo grado. Nessuno che abbia fatto notare a Di Maio che la tempesta che ha raccolto sulla Raggi era frutto del vento che lui e i suoi amici hanno seminato da quando esistono.
Nessuno che si sia posto adeguatamente il problema del sostegno non solo pubblico all’editoria, del suo rilancio in tempi di social e di ulteriore diffusione della rete. Nessuno che abbia rilevato che la libertà di stampa, al di là di slogan e utopie, è assicurata da una classe imprenditoriale connotata da una diversità di orientamenti politici che, investendo risorse nel settore dell’editoria, la sostiene e la alimenta.
Tutti a gridare “al lupo al lupo”. Ma il lupo non c’è. L’unico “lupo” che è dietro l’angolo è la crisi di un ramo che rende poco e costringe tantissimi giornalisti al precariato e al lavoro nero. Ed è questo il vero attentato alla libertà di stampa.