
ACCADDE OGGI – 18/03/2019
18 Marzo 201917/03/1768 – Muore a Londra lo scrittore britannico Laurence Sterne.
Laurence Sterne nacque a Clonmel (Tipperary) in Irlanda nel 1713 e fu figlio di un generale. Dal 1723 alla morte di suo padre nel 1731 frequentò le scuole ad Halifax, nello Yorkshire, e nel 1733 fu mandato al Jesus College di Cambridge, dove si laureò. Dopo la laurea diventò un ecclesiastico e nel 1738 divenne vicario a Sutton-in-the-Forest vicino a York. Nel 1741 si sposò con Elizabeth Lumley, ma il suo matrimonio si rivelò ben presto infelice. La Lumley era cugina di Elizabeth Montagu e soffriva di gravi disordini mentali, ulteriormente aggravati dai continui tradimenti di Sterne. Come uomo di chiesa non ebbe problemi economici e così si dedicò anche alla musica, alla scrittura e alla pittura. La carriera letteraria di Sterne cominciò relativamente tardi; la prima pubblicazione, un pamphlet intitolato A Political Romance apparve solo nel 1759. Nello stesso anno iniziò a scrivere il suo capolavoro ovvero Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo. Sterne ebbe una salute malferma e nel 1762, per ricoverarsi a causa della tubercolosi, andò in Francia con sua moglie e sua figlia dove stette fino al 1767. In seguito tornò definitivamente in Inghilterra.
Descrisse il suo viaggio di sette mesi fatto in Francia e Italia nel Viaggio sentimentale attraverso la Francia e l’Italia, pubblicato nel 1768, e tradotto in italiano da Ugo Foscolo. Al ritorno in Inghilterra Sterne spese molto del suo tempo a Londra, dove era diventato estremamente popolare. In questo periodo si innamorò di Eliza Draper, separandosi dalla moglie. Laurence Sterne morì a Londra nel 1768. Postumo, nel 1775, fu pubblicato The Journal to Eliza, un diario che racconta il suo amore per Eliza Draper.
Il Viaggio sentimentale attraverso la Francia e l’Italia (1768) è il diario di un viaggio intrapreso per gravi motivi di salute. Alla descrizione di paesaggi e città, Sterne privilegia i sentimenti del momento. Questo fa di lui un autentico figlio del suo tempo. Il testo verrà tradotto tra il 1807 e il 1813 da Foscolo (con lo pseudonimo di Didimo Chierico). È la storia di Yorick, pseudonimo di Sterne, del suo peregrinare tra paesaggi maestosi e sublimi, in una sorta di libro di viaggio. Da Sterne prende vita l’accezione moderna del termine “sentimentale”, ovvero di una commozione che si atteggia subito a sorriso, di un ridere quasi disperato e spesso malinconico. La parodia chiara in questo testo di Sterne non sfocia mai però in aperte invettive e veementi aggressioni, anzi rivela sempre una certa affabilità e un sorriso sulla bocca. Da questo testo compare chiara la sensibilità dell’autore verso una visione più soggettiva che oggettiva della realtà: il sentimento più della ragione.
17/03/1947 – Nasce a Spoleto il giornalista e scrittore Walter Tobagi.
Nato a San Brizio, una piccola frazione a sette chilometri da Spoleto, in Umbria, si trasferisce con la famiglia, all’età di otto anni, a Bresso, vicino Milano (il padre Ulderico faceva il ferroviere). Comincia a occuparsi di giornali al ginnasio come redattore della storica «Zanzara», il giornale del liceo Parini. Di quel giornale – diventato celebre per un processo provocato da un articolo sull’educazione sessuale – Tobagi diviene in breve tempo il capo redattore. Sul giornale del liceo però, si occupava sempre meno di sport e più di argomenti quali i fatti culturali e di costume, partecipando a polemiche appassionate. Già in quelle lontane occasioni dava prova di abilità dialettica e di moderazione riuscendo a conciliare conservatori ed estremisti, tolleranti e intolleranti: doti non comuni che utilizzerà pienamente in seguito, non solo nei dibattiti all’interno del «Corriere della Sera», ma soprattutto per conciliare le diverse tendenze dell’Associazione lombarda dei giornalisti, di cui diventerà presidente.
Dopo la fase del liceo, Tobagi era entrato giovanissimo alI’ «Avanti!» di Milano, ma era rimasto pochi mesi passando al quotidiano cattolico «l’Avvenire», a quel tempo in fase di ristrutturazione e di rilancio. Tobagi si occupava, almeno nei primi anni, veramente di tutto, anche se andava sempre più definendosi il suo interesse prioritario per i temi sociali, per l’informazione, per la politica e il movimento sindacale, a cui dedicava molta attenzione anche nel suo lavoro «parallelo», quello universitario e di ricercatore. Aveva poi iniziato a occuparsi di problemi culturali, con note sul consumismo e sulla ricerca storica. Celebre un suo pungente corsivo su un «mostro sacro» della letteratura come Alberto Moravia, accusato di essere un intellettuale integrato «in una società che trasforma tutto, anche l’arte, in oggetto di consumo». Ma Tobagi non trascura i temi economici: si misura in inchieste a diverse puntate sull’industria farmaceutica, la ricerca, la stampa, l’editoria, ecc. e si mostra, in quel periodo, interessato anche alla politica estera: segue con attenzione i convegni sull’Europa; scrive sul Medio Oriente, sull’India, sulla Cina, sulla Spagna alla vigilia del crollo del franchismo, sulla guerriglia nel Ciad, sulla crisi economica e politica della Tunisia, sulle violazioni dei diritti dell’uomo nella Grecia dei colonnelli, sulle prospettive politiche dell’Algeria e così via.
Timidamente, però, comincia anche ad entrare sul terreno politico e sindacale dopo essersi «fatto le ossa», come diremo, sulle vicende del terrorismo di destra e di sinistra. Scavava, con note e interviste, nei congressi provinciali dei partiti e si divertiva a scrivere profili di Sandro Pertini e Pietro Nenni. Scopriva l’attualità, la cronaca sull’onda delle grandi lotte operaie degli anni ’70. Comincia così a scrivere lunghi servizi sulla condizione di lavoro dei siderurgici, dei lavoratori della Fiat Mirafiori, sull’autunno caldo del ’72, sull’inquadramento unico operai-impiegati, sull’organizzazione del lavoro antiquata e disumana che provoca l’assenteismo, sui roventi dibattiti per l’unità sindacale dei metalmeccanici e delle tre confederazioni. L’impegno maggiore di Tobagi era costituito dalle vicende del terrorismo fascista (ma anche di sinistra).
Seguì con scrupolo tutte le intricate cronache legate alle bombe di piazza Fontana, alle «piste nere» che vedevano coinvolti Valpreda, l’anarchico Pinelli, il provocatore Merlino oltre ai fascisti Freda e Ventura, con tante vittime innocenti e tanti misteri rimasti avvolti nell’oscurità più fitta ancora oggi. Tobagi si interessò a lungo anche di un’altra vicenda misteriosa: la morte di Giangiacomo Feltrinelli su un traliccio a Segrate per l’esplosione di una bomba maldestramente preparata dallo stesso editore guerrigliero. Inoltre, si interessò alle prime iniziative militari delle Br, alla guerriglia urbana che provocava tumulti (e morti) per le strade di Milano, organizzata dai gruppuscoli estremisti di Lotta continua, Potere operaio, Avanguardia operaia. Un praticantato lungo e faticoso che doveva portarlo al «Corriere d’Informazione» e, in seguito, al «Corriere della Sera», dove poté esprimere pienamente le sue potenzialità di inviato sul fronte del terrorismo e di cronista politico e sindacale. Nei giorni drammatici del sequestro Moro segue con trepidazione ogni fase della mancata trattativa e dei «colpi di scena», valorizza ogni spiraglio che possa contribuire a salvare la vita del presidente della Dc. Per primo – polemizzando con «brigatologi» tenta di spiegare razionalmente che esiste una coerente continuità tra vecchie e nuove Br e che, quindi, non vi è alcuna contrapposizione tra le Br, ‘romantiche’ delle origini con le facce pulite alla Mara Cagol e le Br sanguinarie e dunque ambigue e provocatorie degli ultimi tempi.
Tobagi sfatò tanti luoghi comuni sulle «bierre» e gli altri gruppi armati, denunciando, ancora una volta, i pericoli di un radicamento del fenomeno terroristico nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro, come molti segnali avevano indicato con profonda inquietudine. «La sconfitta politica del terrorismo – scriveva Tobagi – passa attraverso scelte coraggiose: è la famosa risaia da prosciugare, tenendo conto che i confini della risaia sono meglio definiti oggi che non tre mesi fa. E tenendo conto di un altro fattore decisivo: l’immagine delle Brigate rosse si è rovesciata, sono emerse falle e debolezze e forse non è azzardato pensare che tante confessioni nascono non dalla paura, quanto da dissensi interni, sull’organizzazione e sulla linea del partito armato». La sera prima di essere assassinato, presiedeva un incontro al Circolo della stampa di Milano, per discutere del «caso Isman», un giornalista del «Messaggero», incarcerato perché aveva pubblicato un documento sul terrorismo. Aveva parlato a lungo della libertà di stampa, della responsabilità del giornalista di fronte all’offensiva delle bande terroristiche: problemi che aveva studiato ormai da anni e che conosceva a fondo. Aveva pronunciato frasi come: «Chissà a chi toccherà la prossima volta». Dieci ore più tardi era caduto sull’asfalto sotto i colpi di giovani killer. T
obagi venne ucciso a Milano in via Salaino, alle ore 11 del 28 maggio 1980, con cinque colpi di pistola esplosi da un “commando” di terroristi di sinistra facenti capo alla Brigata XXVIII marzo (Marco Barbone, Paolo Morandini, Mario Marano, Francesco Giordano, Daniele Laus e Manfredi De Stefano), buona parte dei quali figli di famiglie della borghesia milanese.
17/03/2017 – Muore a Wentzville, negli Stati Uniti, il cantautore, chitarrista e compositore statunitense Chuck Berry.
Charles Edward Anderson Berry, o più semplicemente Chuck Berry, nasce a Saint Louis, nello stato del Missouri, in Usa, il 18 ottobre del 1926. Cantante e compositore, tra i primi chitarristi rock di sempre, si contende – e probabilmente sempre si contenderà – con Elvis Presley, il primato per aver inventato o, quanto meno, portato al successo, il genere più famoso del Novecento: il rock and roll. Di sicuro Chuck Berry è stato il primo ad aver utilizzato la scala pentatonica negli assolo di rock, la cosiddetta “double-stop”, portando il suo strumento, la chitarra, a gareggiare quando non proprio a primeggiare sulla voce, fino agli anni ’50 considerata la cosa principale di qualsiasi band e in qualsiasi genere musicale. Secondo la celebre rivista “Rolling Stones” è al quinto posto nella speciale classifica dei cento migliori chitarristi della storia del rock. Gli anni giovanili di Chuck sono quelli consueti, soprattutto per quei ragazzi di colore che, nell’America degli anni ’40, devono lottare contro i pregiudizi razziali e, soprattutto, contro le prepotenze della classe dirigente bianca. È un ragazzo turbolento, con una forte tendenza a delinquere. Gli anni che passa in riformatorio, durante l’adolescenza, non sono di certo pochi. Quarto figlio di una famiglia di sei figli, si fa le ossa nel quartiere “The Ville”. Suo padre è un diacono della chiesa battista e si dà da fare come imprenditore, dando tuttavia alla famiglia numerosa una certa agiatezza economica, soprattutto a confronto con molte altre famiglie di colore degli Stati Uniti, in quegli anni in grande difficoltà. Il piccolo Chuck si innamora ben presto del blues e della chitarra, esibendosi davanti ad un pubblico sin nel lontano 1941, quando è poco più che un teenager, presso la Sumner High School.
Da questo momento però, per tre anni, il giovane musicista frequenta le cosiddette cattive compagnie, tanto che nel 1944, ancora studente, viene arrestato e incarcerato per rapina a mano armata, insieme con la sua banda. La delusione per i famigliari è forte e il giovane viene spedito ad Algoa, nel riformatorio vicino Jefferson City, nel Missouri. Durante la detenzione conosce altri musicisti, forma con loro un quartetto vocale e si allena come pugile. In breve intuisce che la musica può essere la sua unica maniera per emergere e stare lontano da certe situazioni criminose. All’età di ventuno anni, una volta fuori di prigione, Chuck Berry sposa la sua fidanzata Themetta “Toddy” Suggs, esattamente il 28 ottobre del 1948. Due anni dopo arriva la prima figlia, Darlin Ingrid Berry, nata il 3 ottobre del 1950. In questo periodo, pur non abbandonando mai la musica, il futuro chitarrista si dà da fare con diversi lavori, arrangiandosi a St. Louis come operaio, portinaio e altro. Nello stesso anno in cui nasce la figlia, la famiglia Berry riesce a comprare un piccolo appartamento in Whittier Street (verrà poi dichiarato edificio storico proprio per aver ospitato l’idolo rock in quegli anni). Prima del 1955, anno fatidico per lui dal punto di vista musicale, Berry pensa alla musica come ad un suo secondo lavoro, suonando con varie formazioni, prediligendo il blues ma non disdegnando nemmeno il country, la musica dei bianchi.
Nel 1953 conosce una certa notorietà al seguito del pianista Johnnie Johnson, dando inizio a una lunga collaborazione. A dare una svolta alla sua carriera è il grande bluesman Muddy Waters, il quale fa il suo nome a Leonard Chess, della Chess Records di Chicago. Nel maggio del 1955 Berry si presenta con un lavoro fatto e finito, tutto blues, che però non interessa più di tanto il titolare dell’etichetta. Questi però, rimane sorpreso da una sorta di scherzo inciso da Berry e compagni, un riadattamento di un vecchio classico country & western di Bob Wills, intitolato “Ida Red”, e trasformato in “Ida May”. Il chitarrista e cantante viene convinto a incidere nuovamente il brano che, il 21 maggio 1955, diventa “Maybellene”. Con lui ci sono il pianista Johnnie Johnson, Jerome Green alle maracas, il batterista Jasper Thomas e il bassista e cantante blues Willie Dixon. La canzone quell’anno vende un milione di copie e porta Chuck Berry e i suoi in vetta alle classifiche americane. Il brano in questione, secondo molti, segna forse il vero inizio del genere “Rock and Roll”, frutto della commistione tra rythm’n’blues e country. Da quest’anno, il 1955, sino al 1958, Berry realizza tutti i suoi capolavori, scrivendo un momento importante, se non proprio fondamentale, nella storia del rock e soprattutto del rock and roll. Brani ormai leggendari vedono la luce, come “Roll Over Beethoven”, “Thirty Days”, “You Can’t Catch Me”, “School Day”, “Johnny B. Goode”, “Rock and Roll Music”. A dare una battuta d’arresto alla sua lanciatissima carriera di musicista è ancora una volta una vicenda giudiziaria, la quale incide non poco sull’immaginario comune.
Nel 1959 l’autore della celebre e sempre amata “Johnny B. Goode”, suonata dai più grandi di sempre e colonna sonora di film di successo, viene arrestato per avere avuto rapporti sessuali con una minorenne: una quattordicenne impiegata in uno dei suoi locali. La condanna inizialmente è di cinquemila dollari di multa e ben cinque anni di carcere. Tuttavia, due anni dopo, ricorso in appello nel 1961, Berry ottiene una riduzione della pena a tre anni di reclusione. Di nuovo in libertà nel 1963, il musicista di colore fatica a rientrare nel giro che conta. In parte sono proprio le nuove band della cosiddetta “British invasion” a salvarlo, riportando in auge il suo nome e molti dei suoi migliori brani. Gruppi come i Rolling Stones, i Beatles, i Beach Boys gli tributano il dovuto, rielaborando i suoi migliori singoli. John Lennon di lui ha modo di affermare: “È uno dei più grandi di sempre. L’ho già detto molte volte, ma è il primo vero poeta rock.”. Fino al 1965 Chuck Berry vivacchia di rendita, pubblicando in totale altri otto singoli interessanti, ma non dello stesso livello dei precedenti. Entro il 1969 pubblica cinque dischi per la Mercury, compreso un live a Fillmore, ma senza ottenere molta attenzione dal pubblico e da parte degli addetti ai lavori. È ancora una volta la Chess Records a portargli fortuna. Nel 1972 per la sua vecchia casa incide una nuova versione dal vivo della sua vecchia canzone “My Ding-a-Ling”. Il brano, sorprendendo lo stesso chitarrista, balza in testa alle classifiche. Dopo quest’ultimo momento di gloria, Berry continua ad esibirsi dal vivo fino al 1979, quando il giorno 1 giugno viene chiamato a suonare alla Casa Bianca, davanti al presidente Jimmy Carter. Nel frattempo pubblica altri due dischi, non particolarmente esaltanti: “Chuck Berry”, del 1975, e “Rock It”, del 1979.
Sempre nel 1979 l’artista americano sconta altri quattro mesi di prigione, oltre a un cospicuo numero di ore nei servizi sociali, questa volta a causa di una condanna per evasione fiscale. Dagli anni ’80 in poi, nonostante tutte le vicissitudini che lo riguardano, Berry si rimette in sesto e si dedica con tutto se stesso ai concerti dal vivo, realizzandone un centinaio ogni anno e per tutto il decennio. Nel 1986 Taylor Hackford gira un documentario su di lui, dal titolo “Hail! Hail! Rock ‘n’ Roll”, e incentrato sul festival celebrativo fatto in suo onore, per il suo sessantesimo compleanno. Per l’occasione, a tributare Berry, ci sono i migliori di sempre: da Keith Richards a Eric Clapton, fino ad Etta James, Julian Lennon, Robert Cray e Linda Ronstadt. Alla fine del 1990 l’artista fa parlare ancora di sé e per motivi non riguardanti la sua musica. Deve pagare circa un milione di dollari a 59 donne che lo accusano di aver installato una telecamera nei bagni di un suo famoso ristorante nel Missouri, con il fine di spiarle nei momenti meno opportuni. Durante la perquisizione che subisce, vengono trovati a casa sua oltre a dei video compromettenti, con immagini registrate dai bagni del suo locale, tra le quali comparirebbe anche una minorenne, anche sessanta grammi di marijuana. Berry patteggia e se la cava con due anni di libertà vigilata e circa cinquemila dollari di multa. Dieci anni dopo, nel 2000, è il suo ex pianista Johnnie Johnson a citarlo in giudizio, con l’accusa di mancati crediti ricevuti per quanto riguarda canzoni come “No particular place to go”, “Sweet little sixteen” e “Roll over Beethoven”, delle quali sostiene di essere il coautore. Ma questa volta il chitarrista ha la meglio sul suo ex pianista.
Negli anni successivi e nonostante l’età, Chuck Berry continua le sue esibizioni a St. Louis senza rinunciare nemmeno ai tour europei, come quello cominciato nel 2008, il quale lo ha portato un po’ ovunque e anche con buon successo di pubblico. Rimane in attività fino alla fine della sua vita. La morte lo coglie all’età di 90 anni, il 18 marzo 2017, nella sua città natale.