ACCADDE OGGI – 16/03/2019

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16 Marzo 2019 0 Di Delfino Sgrosso

Risultati immagini per attila16/03/452 – Muore in Pannonia, nell’odierna Ungheria, il condottiero e sovrano unno Attila.

Attila nacque nel Caucaso intorno all’anno 406. Orfano di padre fin da bambino, secondo il costume unno imparò ad andare a cavallo prima ancora di camminare. All’età di soli cinque anni già aveva appreso l’arte del combattimento con arco e frecce. All’inizio del V secolo Roma conclude un trattato di pace con il re Rua, zio di Attila, in base al quale l’Urbe doveva pagare un tributo annuale di 160 chili d’oro; inoltre entrambi gli schieramenti avrebbero trattenuto ostaggi di alto rango come garanzia. Tra gli ostaggi c’è anche Attila, mandato a vivere a Ravenna, nell’Impero Romano d’Occidente. Qui il futuro re degli Unni impara il latino e diviene testimone oculare del declino e della corruzione dell’Impero Romano. Durante il suo soggiorno Attila inizia a disprezzare i costumi decadenti dei Romani, maturando nel contempo un forte odio che lo farà diventare il più pericoloso nemico di Roma. Attila ha vent’anni quando torna tra la sua gente. Partecipa a numerose invasioni scatenate dallo zio Rua. Alla morte di Rua, nell’anno 434, Bleda, fratello ventisettenne di Attila, diventa re: Bleda fin da subito si costruisce una reputazione di spietato capo militare. Grazie ad un vantaggioso accordo con i Romani, Bleda e Attila lasciano i territori di Costantinopoli che erano inizialmente nelle loro mire. Gli Unni non hanno scontri con i Romani durante i cinque anni successivi; mirano all’invasione della Persia. Una sconfitta subita in Armenia costringe a rinunciare alla conquista dei territori persiani. Nel 440 tornano sui confini dell’impero romano. Aggrediscono i mercanti sulla sponda settentrionale del Danubio, minacciando così una nuova guerra. Passano il fiume e devastano le città dell’Illiria. L’esercito degli Unni, dopo aver saccheggiato Margus e Viminacium occupa Sigindunum (l’attuale Belgrado) e Sirmium (l’attuale Sremska Mitrovica), per poi sospendere le operazioni militari. Segue un periodo di calma fino al 442, anno in cui Teodosio richiama le truppe dal nord Africa ed ordina che venga coniata una nuova moneta, con lo scopo di finanziare l’azione offensiva contro gli Unni.

In risposta, Attila e Bleda nel 443 riprendono la campagna d’invasione. Compiono razzie lungo il Danubio sottomettendo i campi militari con l’uso di arieti e torri d’assedio, equipaggiamenti militari di nuova concezione. Gli Unni poi affrontano e sconfiggono l’esercito romano alle porte di Costantinopoli e soltanto la mancanza di mezzi di combattimento in grado di far breccia nelle mura massicce della città li costringe a fermarsi. Teodosio ammette la sconfitta. Soddisfatte per un po’ le pretese, gli Unni fanno ritorno nel loro impero. Intorno al 445 Bleda muore ed Attila diviene l’unico re; divenuto indiscusso capo e condottiero degli Unni, rivolge nuovamente le sue mire espansionistiche verso l’Impero Romano d’Oriente. Ovunque portasse il suo esercito, le conseguenze erano devastanti: Attila faceva massacrare ostaggi e prigionieri; anche durante le ritirate veniva perpetrata ogni tipo di tortura o violenza: le leggende che ne seguivano non facevano che accrescere la popolarità e l’ego di Attila. I metodi erano selvaggi e brutali, il terrore veniva portato ovunque, e le città rase al suolo. La sua fama di crudeltà era così grande che bastava pronunciare il nome di Attila per terrorizzare le popolazioni delle città verso cui si dirigeva con le sue truppe, sopprimendo qualsiasi loro resistenza e inducendole ad aprirgli le porte senza colpo ferire. Dopo aver attraversato le terre germaniche e francesi, Attila torna in Italia nel 452: l’esercito, composto soprattutto da truppe germaniche, avanza su Trieste ma viene fermato ad Aquileia, città fortificata di grande importanza strategica: il suo possesso permetteva di controllare gran parte dell’Italia settentrionale. Attila cinse la città d’assedio per ben tre mesi, tuttavia inutilmente. Una leggenda racconta che proprio mentre era sul punto di ritirarsi, da una torre delle mura si sarebbe levata in volo una cicogna bianca, abbandonando la città con il piccolo sul dorso.

Re Attila, superstizioso, a quella vista avrebbe ordinato al suo esercito di rimanere: poco dopo, la parte delle mura dove si trovava la torre lasciata dalla cicogna, sarebbe crollata. Attila si impossessa così della città, che rade al suolo senza lasciare più nessuna traccia della sua esistenza. Si dirige poi verso Padova, che saccheggia completamente. Prima del suo arrivo molti abitanti della città cercano rifugio nelle paludi, dove fonderanno la città di Venezia. Nessun’altra città tenta la resistenza e Attila può avanzare fino a Milano senza difficoltà. Attila conquista Milano e si stabilisce per qualche tempo nel palazzo reale. Famoso è rimasto il modo singolare con cui affermò la propria superiorità su Roma: nel palazzo reale c’era un dipinto in cui erano raffigurati i Cesari seduti in trono e ai loro piedi i principi sciti. Attila, colpito dal dipinto, lo fece modificare: i Cesari vennero raffigurati nell’atto di vuotare supplici borse d’oro davanti al trono dello stesso Attila. Scacciato da Ravenna l’imperatore Valentiniano III, lascia l’Italia e fa ritorno al suo palazzo attraversando il Danubio. Pianifica un nuovo attacco a Costantinopoli, ma muore nei primi mesi del 453 (proabilmente il 16 marzo). I guerrieri Unni di Attila, dopo aver scoperto la sua morte, tagliano le loro chiome e si sfregiano con le proprie spade in segno di lutto. Re Attila viene seppellito in un triplo sarcofago d’oro, argento e ferro con il bottino delle sue conquiste; il corteo funebre viene ucciso per mantenere segreto il suo luogo di sepoltura. Secondo alcune leggende ungheresi il sarcofago si troverebbe tra il Danubio e il Tibisco, in Ungheria. L’ultimo e più potente sovrano degli Unni, governò un vastissimo impero che si estendeva dall’Europa Centrale al Mar Caspio, e dal Danubio al Baltico, unificando – per la prima ed unica volta nella storia – la maggior parte dei popoli barbarici dell’Eurasia settentrionale, dai Germani agli Slavi, ai così detti Ugro-Finni. Sebbene il suo regno sia durato solo otto anni, in questo periodo ispirò un tale terrore che ancora oggi il suo nome è simbolo di morte e distruzione.

Soprannominato flagellum Dei (“flagello di Dio”) per la sua ferocia, si diceva che dove fosse passato non sarebbe più cresciuta l’erba. Ancora oggi è considerato tra i personaggi più malvagi della storia. Nonostante il suo impero si sia disgregato alla sua morte, è diventato una figura leggendaria nella storia europea, che lo ricorda in modo diverso a seconda della zona: guerriero feroce, avido e crudele nell’area al tempo sotto Roma; condottiero impavido e coraggioso nei paesi che facevano parte del suo impero. In alcuni racconti viene celebrato come un grande e nobile re ed è il personaggio principale di tre saghe islandesi-norvegesi (Etzel, nella Saga Nibelunga; Atli, nella Saga Volsunga; e infine nell’Edda poetica).

 

Risultati immagini per jerry lewis16/03/1926 – Nasce a Newark, negli Stati Uniti, il comico, attore e regista statunitense Joseph Levitch, meglio noto con lo pseudonimo di Jerry Lewis.

Dotato di una mimica straordinaria, di un’espressività vincente e di una grande vis comica, diverte gli spettatori da quando nel 1941, dopo essere stato cacciato dalla scuola a soli quindici anni, si butta a capofitto nello spettacolo. Mette a punto fin dall’inizio le sue qualità, studiando da mimo. Da lì a poco, si organizza ideando delle imitazioni su base musicale registrata. Debutta così nelle attrazioni delle sale cinematografiche della Paramount dove non resta a lungo inosservato. La svolta avviene per caso, nel 1946. Jerry lavora al Club 500 di Atlantic City, stesso locale dove conosce un cantante che si autoproduce, un allora sconosciuto Dean Martin, di nove anni più grande. Per uno scherzo del destino che li vuole sempre insieme, i due si ritrovano contemporaneamente sulla scena per errore. Come nei copioni dei migliori film, così dal cielo nasce una delle coppie più famose e più riuscite dello spettacolo. Il successo spalanca le sue braccia ai due artisti, che ben presto si danno anche al cinema, dove debuttano nel 1949 in “La mia amica Irma”. Una parte da protagonisti, invece, la ottengono al loro terzo ciak in “Il soldato di legno”, del 1951. Tra le interpretazioni storiche di Jerry Lewis, non si può non ricordare “Il nipote picchiatello”, del 1955. Dopo una serie di successi in collaborazione con Frank Tashlin, e con lo stesso Martin, Lewis decide di muoversi da solo. L’ultima pellicola che la coppia di amici gira insieme è “Hollywood o morte”, del 1956, diretta appunto da Tashlin.

Il duo formava una coppia perfetta, giocata com’era sulla stridente contrapposizione tra il tipico giovanotto intraprendente, affascinante, sportivo e sicuro di sé (Martin) ed il ragazzo timido, complessato e impacciato interpretato da Lewis. Eclettico e dotato di numerosi talenti, Lewis si dà alla musica e alla produzione discografica oltre alla tv e agli show, divenendo anche produttore e sceneggiatore cinematografico e televisivo. Stufo di un certo clichè che lo perseguita, quello di essere solo una macchietta di straordinario talento, per dimostrare di saper recitare a 360 gradi, gira “Il delinquente delicato” un film in cui i toni amari e crepuscolari sono dominanti. Prima di diventare autore dei suoi film, però, interpreta altre due pellicole divertenti “Il balio asciutto” e “Il Cenerentolo”. Democratico impegnato, la superstar della Paramount comincia a prendere posizioni umanitarie. Nel 1960 arriva la sua prima, azzeccata, regia di “Ragazzo tuttofare”, dove interpreta il ruolo di un muto maldestro e poi “L’idolo delle donne” (considerato una delle sue opere maggiori), storia di uno scapolo timidissimo rinchiuso in un pensionato femminile. Da questo punto in poi, inanella un successo dietro l’altro, riprendendo anche il sodalizio con Tashlin in “Dove vai sono guai” e, lo stesso anno (il 1963), nell’esilarante “Le folli notti del Dottor Jerryll”, riadattamento parodico del romanzo di Stevenson. Sempre negli Anni Sessanta Lewis dirige film in Gran Bretagna e Francia dove riceve un’accoglienza osannante per “Scusi dov’è il fronte?”, omaggio a Charlie Chaplin. È il 1971: per nove anni, soprattutto per motivi di salute, l’attore si allontana dalle scene.

Il ritorno avviene con “Bentornato Picchiatello”, del 1979, passerella di gag. La vena drammatica riemerge nella pellicola diretta nel 1983 da Martin Scorsese “Re per una notte”, dove interpreta se stesso all’interno di una trama da connotati tragici, volta ad esplorare i confini fra realtà e universo dello spettacolo e del culto della personalità che quest’ultimo porta inevitabilmente con sè. Successivamente, è il protagonista di un’altra violenta satira sulla società americana intitolata “Qua la mano picchiatello”. Il suo ultimo ciak risale al 1995 in Funny Bones. Jerry Lewis rappresenta di fatto un miscuglio tra la tradizione comica americana e quella ebraica, grazie soprattutto alla trasfigurazione di un personaggio canonico della tradizione yiddish, lo Schlemiel, ossia il tipico individuo perseguitato dalla sfortuna. Alla 56a Mostra del cinema di Venezia, gli viene assegnato il Leone d’Oro alla Carriera. Muore all’età di 91 anni a Las Vegas, il 20 agosto 2017.

 

Risultati immagini per agguato via fani16/03/1978 – In un agguato a Roma, in via Fani, le Brigate Rosse rapiscono Aldo Moro, uccidendo i cinque uomini della sua scorta.

Alle 8,55 circa del 16 marzo 1978, la Fiat 130 targata Roma L59812, guidata dall’appuntato dei carabinieri Domenico Ricci e con a bordo l’onorevole Aldo Moro e il capo della sua scorta personale, maresciallo dei carabinieri Oreste Leonardi, mentre percorreva via Mario Fani, seguita dall’Alfetta targata Roma S93393, guidata dalla guardia di P.S. Giulio Rivera e con a bordo la scorta (brigadiere di P.S. Francesco Zizzi, guardia di P.S. Raffaele Iozzino), veniva improvvisamente bloccata da una Fiat 128 bianca, di tipo familiare, targata CD 19707, che retrocedeva da via Stresa verso via Fani: arrestatasi per l’inopinato impedimento, l’auto dell’onorevole Moro veniva tamponata dall’autovettura di scorta. Immediatamente dalla Fiat 128 scendevano gli occupanti che, dispostisi ai due lati dell’auto dell’onorevole Moro, aprivano il fuoco contro i due carabinieri.

Nello stesso tempo quattro individui, che indossavano divise del personale di volo dell’Alitalia, armati di pistole mitragliatrici, che avevano estratto da una grossa borsa nera ed appostati sul lato sinistro della strada, aprivano a loro volta il fuoco contro i militari che occupavano le due autovetture. Prima che potessero reagire, venivano uccisi i due autisti e il maresciallo Leonardi. La guardia di P.S. Iozzino, lanciatasi fuori dall’autovettura impugnando la pistola d’ordinanza, riusciva ad esplodere qualche colpo, ma veniva subito raggiunta ed uccisa dai proiettili sparati da altri due individui che si trovavano appostati tra le vetture in sosta. Il brigadiere Zizzi veniva gravemente ferito e decedeva poco dopo al Policlinico Gemelli ove era stato trasportato morente. Almeno altri due terroristi sorvegliavano a strada, disposti uno lungo via Fani, dietro autovetture posteggiate, l’altro, una donna, all’incrocio con via Stresa. L’onorevole Moro, rimasto leggermente ferito, veniva prelevato dalla sua autovettura e caricato su una Fiat 132 blu, sopraggiunta in quell’istante: essa si allontanava subito, con a bordo i quattro terroristi travestiti da dipendenti dell’Alitalia, in direzione di via Trionfale, seguita da altri due vetture Fiat 128, quella bianca che era retrocessa da via Stresa e un’altra blu, nonché da una moto Honda. Su tali mezzi avevano preso posto i complici degli aggressori che, durante l’aggressione, avevano dirottato il traffico servendosi di palette di segnalazione delle forze di polizia e seminato il panico sparando anche in direzione delle persone che avevano assistito alla scena.

Le successive indagini avrebbero permesso di accertare che, poco dopo, l’onorevole Moro venne trasferito dalla 132 blu su un furgone Fiat 850 bianco munito di sirena che, dopo aver percorso via De Carolis, imboccò via Damiano Chiesa in direzione della Pineta Sacchetti. Dalle varie testimonianze può ritenersi che l’itinerario probabilmente seguito dagli aggressori durante la fuga sia stato il seguente: via Stresa, piazza Monte Gaudio, via Trionfale, via Carlo Belli, via Casale de’ Bustis, via Massimi. E’ presumibile che essi abbiano poi utilizzato qualche base di appoggio nelle vicinanze di via Licinio Calvo per trasbordare il prigioniero, abbandonando le auto dell’agguato. È emerso dall’indagine giudiziaria che i membri del commando che indossavano divise da personale di volo erano giunti a piedi in via Fani, dove si erano appostati di fronte ad un bar, quel giorno chiuso, disponendosi a coppie brevemente distanziate tra loro. E’ stato altresì accertato che era stato immobilizzato in via Brunetti, squarciandone le gomme, presumibilmente durante la notte precedente, l’autofurgone di un fioraio che usava sostare in via Fani. Il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, unico caso di sequestro e di omicidio di un uomo di Stato nell’Europa del dopoguerra, ha coinvolto, in un’unica, tragica vicenda, la sorte della vittima nonché valori, principi, processi politici interessanti l’intera società italiana.

Moro fu ucciso mentre era impegnato da protagonista in una difficile fase politica che vedeva il realizzarsi di una convergenza di forze democratiche diverse (DC, PCI, PSI, PSDI, PRI) diretta non soltanto ad assicurare al Paese un governo in grado di uscire dall’instabilità conseguente alla crisi degli equilibri politici sui quali si era fondata la lunga esperienza dei governi di centro-sinistra, ma soprattutto a superare radicate pregiudiziali tra forze politiche tradizionalmente antagoniste al fine di creare le condizioni per una democrazia compiuta.