
ACCADDE OGGI – 13/03/2019
13 Marzo 201913/03/1988 – Muore a Roma il regista, sceneggiatore e vignettista Stefano Vanzina, meglio noto con lo pseudonimo di Steno.
Nato nel 1917, Steno, nome d’arte di Stefano Vanzina, è stato figlio di Alberto, giornalista italiano emigrato in Argentina e morto quando il figlio aveva appena 5 anni. Nonostante le difficoltà familiari, Stefano frequenta la facoltà di Giurisprudenza, ma l’abbandona senza laurearsi. Si iscrive allora all’Accademia di Belle Arti dove si diploma come scenografo e subito dopo entra nell’appena nato Centro Sperimentale di Cinematografia: qui incontra alcuni degli artisti più importanti del cinema italiano tra cui Alida Valli, Luigi Zampa, Michelangelo Antonioni. Nel frattempo, comincia a disegnare vignette e caricature che firma con il soprannome di Steno, che lo accompagnerà per tutta la vita. Grazie al suo lavoro come vignettista approda nella redazione di “Marco Aurelio”, giornale umoristico romano nelle cui file figurano artisti del calibro di Federico Fellini e Marcello Marchesi.
Nel frattempo scrive anche copioni per spettacoli teatrali e radiofonici. Grazie al regista Mario Mattioli, a Steno vengono aperte le porte del cinema: comincia a realizzare sceneggiature cinematografiche e a lavorare come aiuto regista. Nel dopoguerra, Steno comincia a collaborare con Mario Monicelli: scrive le sceneggiature di “Totò cerca casa” (1949) e “Guardie e ladri” (1951), che si rivelano essere degli ottimi incassi al botteghino. Il primo film di Steno come regista è “Totò a colori” (1952): secondo film italiano a colori dopo il cartone “La rosa di Bagdad”, una vera e propria raccolta dei migliori sketch teatrali di Totò, con le celeberrime battute: “Ma mi faccia il piacere” e “Io sono un uomo di mondo, ho fatto tre anni di militare a Cuneo!”. Da lì in poi dirigerà ben 64 pellicole, con un sempre ottimo successo di pubblico, diventando uno dei capisaldi della commedia italiana. Nella sua ricchissima filmografia ci sono cult come “Un giorno in pretura” (1953), con un cast eccezionale: Peppino De Filippo, Alberto Sordi, Sophia Loren, Walter Chiari, Maurizio Arena, in cui nasce il personaggio detto “l’americano”, interpretato da Sordi, e che ritorna nel celeberrimo “Un americano a Roma” (1954), da cui tutti ricordiamo la scena, ormai leggendaria, del piatto di pasta con la battuta: “Maccarone, m’hai provocato e io me te magno!”, entrata a far parte della cultura popolare italiana.
In “Susanna tutta panna” (1957) una prorompente Marisa Allasio è protagonista di scenette surreali e quasi demenziali, come la recita dell’Amleto con le torte in faccia; in “I tartassati” (1959) Steno ritrova la grande coppia Totò-Aldo Fabrizi, in cui il primo è un commerciante che evade il fisco e il secondo un maresciallo della finanza che vuole incastrarlo: siamo dalle parti di “Guardie e ladri” e Steno lascia carta bianca alla mitica coppia che si scatena in una gara fino all’ultima battuta. In “Letto a tre piazze” (1960) invece, Steno dirige un’altra celebre coppia: Totò e Peppino, in cui il primo è il terzo incomodo per il matrimonio del secondo. “La polizia ringrazia” (1972), unico film che Steno ha firmato con il suo vero nome, si ispira invece al film “Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo”, e vede come protagonisti i grandissimi Enrico Maria Salerno e Mariangela Melato, e il film è considerato il primo poliziottesco italiano. Vero e proprio cult del regista rimane però l’indimenticabile “Febbre da cavallo” (1976): un cast di grandissimi talenti come Gigi Proietti, Enrico Montesano, Mario Carotenuto e Catherine Spaak danno vita ad una commedia grottesca, infarcita dell’irresistibile cialtroneria romana, che parla dei vizi degli italiani e dell’arte tutta nostrana “dell’arrangiarsi”. Un classico, che ha dato origine all’espressione, ormai entrata nell’uso quotidiano, “fare una mandrakata”. Altro filone ricchissimo e assai popolare è la serie di Piedone con protagonista Bud Spencer, in cui l’attore interpreta il mitico poliziotto Rizzo, le cui avventure, sempre piene di lotte a mani nude, si svolgono in tutto il mondo, perfino a Hong Kong. Infine, come non ricordare “Tango della gelosia” (1981), con la strana ma irresistibile coppia Monica Vitti-Diego Abatantuono, in cui la Vitti cerca di far ingelosire il marito distratto inventandosi una relazione con il bodyguard interpretato da Abatantuono.
Sposatosi con Maria Teresa Nati, ha avuto da lei due figli: Enrico e Carlo Vanzina (morto nel 2018), entrambi nel mondo del cinema, e creatori dei popolarissimi ‘cinepanettoni’. L’ampia filmografia di Steno abbraccia più generi, dal poliziesco al demenziale, con un gusto del cinema popolare e sincero, che piaceva sia al pubblico che ai produttori, da cui traspare la voglia di fare cinema per il piacere di farlo e di farlo nel miglior modo possibile, con ogni mezzo a disposizione. Nei suoi lavori, grazie ai quali ha collaborato con molti dei più grandi talenti del cinema italiano, da Totò ad Aldo Fabrizi, passando per Alberto Sordi, Ugo Tognazzi e Monica Vitti, c’é sempre un’ironia pungente e dissacrante, uno sguardo disincantato che, senza moralismi e senza giudicare, ha disegnato un ritratto onesto della società italiana e del suo mutamento nell’arco di 30 anni, dagli anni ’50 agli ’80.
13/03/2003 – Muore a Napoli il cantautore, chitarrista e attore italiano Roberto Murolo. Murolo nasce a Napoli il 19 gennaio del 1912.
E’ il penultimo di ben sette figli della coppia Lia Cavani ed Ernesto Murolo. Il padre è un poeta e paroliere alla cui penna si devono classici della canzone napoletana come “Napule ca se ne va”, “Piscatore e Pusilleco”, “Nun me scetà”. Grazie anche all’influenza paterna, Roberto inizia ad appassionarsi alla musica da giovanissimo ed impara a suonare la chitarra con un maestro privato. La sua casa è frequentata da una serie di poeti e letterati che gli trasmettono il gusto per la parola. Tra questi vi sono Salvatore di Giacomo e Raffaele Viviani. Prima di trasformare la sua passione in un lavoro, Roberto Murolo si impiega per un breve periodo nella compagnia del gas, coltivando contemporaneamente la sua inclinazione per il nuoto. Vince così i campionati nazionali universitari di nuoto e viene premiato dal Duce in persona a Piazza Venezia. La sua passione per la musica lo induce però ad investire le sue energie in questo campo. Fonda il quartetto Mida, il cui nome deriva dall’unione delle iniziali dei suoi componenti: E. Diacova, A. Arcamone e A. Imperatrice.
Nonostante la contrarietà del padre che preferisce la tradizione napoletana, Roberto si lascia influenzare sin da piccolo dalla musica d’oltreoceano. Anche i Mida Quartet si ispirano ai ritmi statunitensi e prendono a modello la formazione americana dei Mils Brothers. Insieme al suo gruppo Roberto gira l’Europa per otto anni, dal 1938 al 1946, esibendosi in teatri e locali in Germania, Bulgaria, Spagna, Ungheria e Grecia. Alla fine della guerra torna finalmente in Italia e comincia ad esibirsi in un locale di Capri, il Tragara Club. In questo periodo i musicisti napoletani si dividono tra lo stile arabo-mediterraneo di Sergio Bruni e quello della canzone d’autore napoletana dell’Ottocento. Roberto è il primo ad inaugurare un terzo filone. Esibendosi a Capri, decide di puntare tutto sulla sua voce calda e carezzevole e di cantare alla maniera degli chansonnier francesi. Grazie a questa scelta musicale inizia un periodo di grande successo: i suoi primi 78 giri vengono trasmessi alla radio e partecipa ad una serie di film come “Catene” e “Tormento” di Raffaello Matarazzo, e “Saluti e baci” dove recita accanto ad altri illustri colleghi tra cui Yves Montand e Gino Latilla. La sua carriera subisce un arresto nel 1954 quando viene coinvolto in un’accusa di abusi su un ragazzino. Il triste episodio lo induce a ritirarsi per un periodo nella sua casa del Vomero, dove vive con la sorella. L’accusa si rivelerà poi infondata, ma Roberto è vittima di un certo ostracismo fino agli anni Ottanta.
Nonostante le difficoltà non abbandona la musica, anzi la sua passione per la canzone napoletana si trasforma in desiderio di approfondire i suoi studi sui classici. Il frutto di questi studi è la pubblicazione, tra 1963 e il 1965, di ben dodici 33 giri dal titolo: “Napoletana. Antologia cronologica della canzone partenopea”. Dal 1969 in poi pubblica anche quattro dischi monografici dedicati ad altrettanti grandi poeti napoletani: Salvatore di Giacomo, Ernesto Murolo, Libero Bovio e Raffaele Viviani. Il repertorio di Roberto Murolo è vastissimo e comprende veri capolavori come “Munastero e Santa Chiara”, “Luna Caprese”, la famosissima “Scalinatela”, “Na voce, na chitarra”. A metà degli anni Settanta interrompe per un certo periodo l’attività di registrazione, ma non quella concertistica, ritornando poi ad incidere album negli anni Novanta. Nel 1990 incide “Na voce e na chitarra”, album in cui interpreta canzoni di altri autori tra cui “Caruso” di Lucio Dalla, “Spassiunatamente” di Paolo Conte, “Lazzari felici” di Pino Daniele, “Senza fine” di Gino Paoli e “Ammore scumbinato” dell’amico Renzo Arbore.
Dalla pubblicazione di questo disco inizia per Roberto una sorta di seconda giovinezza artistica che lo vede pubblicare nel 1992 l’album “Ottantavoglia di cantare”, con riferimento alla sua età: ha infatti appena compiuto ottant’anni. Il disco contiene un duetto con Mia Martini, “Cu’mmè”, ed uno con Fabrizio De André. Quest’ultimo gli fa l’onore di duettare nella sua “Don Raffaé”, tratta dal disco “Le nuvole”, canzone dal testo molto impegnativo con protagonista una guardia carceraria, per il quale il camorrista che sorveglia rappresenta l’incarnazione del bene e della giustizia. Grazie a questo disco inizia la collaborazione con un altro autore napoletano, Enzo Gragnaniello, con cui nel 1993 incide l’album “L’Italia è bbella”; ai due si affianca anche Mia Martini. L’ultima sua fatica risale al 2002 ed è l’album “Ho sognato di cantare” contenente dodici canzoni d’amore realizzate con autori napoletani come Daniele Sepe ed Enzo Gragnagniello. L’ultima esibizione risale, invece, al marzo 2002 sul palco del Festival di Sanremo; qui riceve un riconoscimento alla sua lunga carriera artistica. Si tratta del secondo importante riconoscimento, dopo la nomina a Grande Ufficiale della Repubblica Italiana per meriti artistici.
Roberto Murolo muore un anno dopo nella sua casa del Vomero: è la notte tra il 13 e il 14 marzo del 2003.
13/03/2013 – Dopo il conclave, viene eletto papa, al quinto scrutinio, il cardinale argentino Jorge Mario Bergoglio, che assume il nome di Francesco.
Il conclave del 2013 venne convocato a seguito della rinuncia all’ufficio di romano pontefice di papa Benedetto XVI, avvenuta il 28 febbraio dello stesso anno. Si svolse nella Cappella Sistina dal 12 al 13 marzo, e, dopo cinque scrutini, venne eletto papa il cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, che assunse il nome di Francesco. L’elezione fu annunciata dal cardinale protodiacono Jean-Louis Tauran. Dei 117 cardinali elettori parteciparono effettivamente al conclave solo in 115, poiché erano assenti l’arcivescovo emerito di Giacarta Julius Riyadi Darmaatmadja e l’arcivescovo emerito di Saint Andrews ed Edimburgo Keith Michael Patrick O’Brien: il primo non partecipò per motivi di salute, mentre il secondo «per evitare di attirare l’attenzione dei media», in quanto accusato di comportamenti inappropriati verso alcuni religiosi. I favori della vigilia, secondo molti osservatori, andavano all’arcivescovo di Milano Angelo Scola, grazie al sostegno dei cardinali Angelo Bagnasco e Carlo Caffarra, nonché di Camillo Ruini e di Giovanni Battista Re; Scola era anche apprezzato all’estero grazie alla sua Fondazione Oasis.nDopo Scola si posizionava il cardinale brasiliano Odilo Pedro Scherer, membro del collegio cardinalizio di sorveglianza dello IOR e molto vicino alla curia, appoggiato dal cardinale camerlengo Tarcisio Bertone, dal cardinale decano Angelo Sodano e, come sembrava alla vigilia, dai cardinali sudamericani. Nel gruppo degli undici porporati statunitensi (il più numeroso, dopo gli italiani) sembravano alte le quotazioni in favore dell’arcivescovo di Boston Sean Patrick O’Malley per aver affrontato con fermezza gli abusi sessuali del clero.
In posizione di immediato rincalzo erano considerati il cardinale ghanese Peter Turkson e il canadese Marc Ouellet. Alle 10:00 del 12 marzo, nella basilica di San Pietro, venne celebrata la messa pro eligendo Romano Pontifice, che diede inizio ai riti del conclave. Presiedette la liturgia, concelebrata da tutti i cardinali, il decano Angelo Sodano. Alle 16:30 iniziò la processione dei porporati, che, dalla cappella Paolina, si recò alla cappella Sistina. Dopo il canto del Veni Creator Spiritus e dopo aver pronunciato il solenne giuramento di fedeltà al segreto del conclave, il maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie Guido Marini pronunciò la tradizionale formula extra omnes, invitando tutti gli estranei a lasciare la Sistina, le cui porte si chiusero alle 17:33. Dopo una breve meditazione tenuta dal cardinale Prosper Grech ebbe luogo la prima votazione, che non era scontato avvenisse in giornata. Il primo scrutinio diede esito negativo, con fumata nera alle 19:41. Il secondo e il terzo scrutinio, la mattina del 13 marzo, diedero esito negativo, con fumata nera alle 11:38. Dopo la pausa per il pranzo si tenne, nel primo pomeriggio, il quarto scrutinio che diede esito negativo.
Alle 19:06 del 13 marzo, dopo il quinto scrutinio, dal comignolo della Sistina si levò la fumata bianca. Poco più di un’ora dopo, alle 20:12, il cardinale protodiacono Jean-Louis Tauran, con la tradizionale locuzione Habemus Papam, annunciò l’elezione di Jorge Mario Bergoglio, che scelse il nome di Francesco.