ACCADDE OGGI – 12/03/2019

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12 Marzo 2019 0 Di Delfino Sgrosso

Risultati immagini per CESARE BORGIA12/03/1507 – Muore a Viana, nella odierna Spagna, il nobile, cardinale e condottiero italiano Cesare Borgia, detto Il Valentino.

Cesare Borgia nasce il 13 settembre 1475 a Roma. Il padre è il cardinale Rodrigo Borgia, mentre la madre è Vannozza Cattani. Proviene quindi da una famiglia importante di Roma, originaria della Catalogna, in cui già Alfonso Borgia è eletto papa nel 1455 con il nome di Callisto III e, successivamente, il padre Rodrigo sale sul soglio pontificale nel 1492 con il nome di Alessandro VI. Secondo di cinque figli, suoi fratelli sono Giovanni (detto anche Juan), Cesare, Lucrezia e Goffredo. Grazie alla bolla papale emanata da papa Sisto IV, Cesare, ancora bambino, ottiene numerosi benefici che gli permetteranno di avere un futuro roseo. In tenera età diventa protonotario apostolico, dignitario della Cancelleria pontificia, rettore di Gandìa, arcidiacono di Altar e Jativa, ottiene la Prebenda e il Canonicato sulla Cattedrale di Valencia, diventa il tesoriere della cattedrale di Cartagèna, arcidiacono della cattedrale di Terragona, canonico della cattedrale di Lerida e ottiene la Prebenda sulla cattedrale di Majorca. Cesare studia presso l’Università di Perugia con Giovanni Dé Medici, che sarà conosciuto con il nome di papa Leone X.

Nel corso degli studi conosce Ramiro de Lorqua, i Baglioni e Michele Corella. Dopo avere lasciato l’Università di Perugia, continua i suoi studi presso l’Università di Pisa sempre insieme a Giovanni Dé Medici. Tra i sedici e i diciassette anni si laurea nella facoltà di diritto. Cesare, dal 1492 al 1495, diventa arcivescovo di Valencia, pur non recandosi mai in Spagna e non prendendo in possesso l’arcivescovato; in seguito diventa cardinale, governatore e legato della città di Orvieto. Accumula quindi tutte queste importanti cariche politiche e religiose appena il padre prende le redini del potere nella città di Roma. Nei primi anni di pontificato di Rodrigo, Cesare, avendo tutti questi importanti titoli, vive a Roma in dissolutezza. Dopo avere incoronato, il 27 luglio 1497, il nuovo re di Napoli, Federico I d’Aragona, Cesare decide di lasciare la carriera ecclesiastica, poiché non si sente portato per quel genere di vita. L’anno successivo, il Concistoro, sentite le motivazioni di Cesare, gli concede di tornare alla vita secolare. In questo periodo vuole chiedere in sposa la principessa Carlotta d’Aragona che si trova in Francia sotto la tutela del re Luigi XII. Unendosi in matrimonio con la principessa d’Aragona, ha come obiettivo quello di impossessarsi del Regno di Napoli. Sarà indispensabile la mediazione del papa Alessandro VI per lo svolgimento del matrimonio del figlio. Dopo una lunga trattativa si raggiunge finalmente un accordo: Cesare Borgia potrà sposare Carlotta d’Aragona in cambio dell’annullamento del matrimonio tra Luigi XII e Giovanna di Francia. Il re ha come obiettivo, una volta annullato il suo primo matrimonio, quello di sposare la regina Anna di Bretagna, da lui amata. Cesare giunge in Francia, ma la trattativa si interrompe non appena la principessa Carlotta lo vede.

A questo punto il Borgia, non essendo andato in porto il negoziato, non consegna a re Luigi XII la bolla papale che contiene l’annullamento del suo matrimonio con la regina di Francia. Trattenuto in Francia presso il palazzo reale francese, solo dopo alcuni mesi riesce a trovare la libertà; infatti, con un compromesso ottiene la mano della nipote del re Luigi XII, Carlotta d’Albret, che è originaria della Navarra, una regione spagnola. Nel 1499 Cesare diventa il comandante dell’esercito pontificio e il 10 maggio dello stesso anno sposa Carlotta d’Albret. Dopo il compromesso raggiunto, stringe una forte alleanza con la Francia, ottenendo anche il ducato di Valentinois e l’importante titolo di Pari di Francia. Nell’estate Cesare, alla guida dell’esercito pontificio, si allea ancora una volta con la Francia nel corso della guerra contro la Spagna. I due eserciti, confidando anche nell’appoggio di Venezia, iniziano l’offensiva, conquistando in primo luogo il ducato di Milano che in quel periodo è sotto il controllo degli Sforza. La guerra continua e il grande esercito giunge fino ai territori romagnoli che sono sotto la sfera di influenza papale. Alessandro VI viene informato sulla situazione, per cui manda delle lettere ai signori di Urbino, di Pesaro, Faenza, Forlì, Camerino e Imola, invitandoli a lasciare i loro feudi, che sono decaduti. Questa contromossa del papa garantisce al figlio di creare un forte principato. Il potente esercito guidato da Cesare Borgia conquista anche le città di Cesena, Rimini, Piombino, Pianosa e l’isola d’Elba. Tornato a Roma, è accolto dal padre in modo solenne e trionfale ottenendo l’importante titolo di vicario papale, oltre a del denaro per finanziare l’esercito di cui è a capo. Nella sua residenza romana compone poesie, lavora e mantiene i contatti con gli uomini del suo esercito. Dalla Repubblica di Firenze gli viene inviato come ambasciatore Niccolò Machiavelli e si affida a Leonardo da Vinci per la progettazione delle sue armi belliche e per i disegni planimetrici dei territori che ha conquistato. Sotto il suo governo l’area romagnola ritrova stabilità e ordine grazie all’istituzione dei tribunali.

Nel 1503 progetta l’espansione del suo vasto principato romagnolo, avendo l’intenzione di conquistare le città di Pisa, Lucca e Siena. Non riesce però a raggiungere questo obiettivo, perché il 18 agosto di quell’anno muore il padre, che per lui è stato il suo grande punto di riferimento. Dopo la morte di Alessandro VI e il breve pontificato di Pio III, sale sul soglio pontificale Giuliano Della Rovere che prende il nome di Giulio II, proveniente da una famiglia nemica dei Borgia. Il papa, dopo avere tolto il ducato romagnolo a Cesare, lo fa arrestare e imprigionare presso Castel Sant’Angelo. Questi però riesce a evadere dalla fortezza, rifugiandosi a Napoli. Nella città campana il Valentino (così chiamato per il suo ducato di Valentinois) si riorganizza per tentare di riconquistare i territori perduti, ma presto il Papa si accorge della situazione e lo fa deportare, con l’aiuto del re Ferdinando di Aragona, in Spagna. Nel 1506 riesce nuovamente a evadere, trovando riparo in Navarra, regione controllata dal cognato Giovanni III d’Albret.

Cesare Borgia muore il 12 marzo 1507, mentre tenta l’assedio della città di Viana, all’età di trentadue anni. In letteratura è inoltre noto per aver ispirato a Niccolò Machiavelli la figura della sua opera più celebre, “Il Principe”.

 

Risultati immagini per SALVATORE DI GIACOMO12/03/1860 – Nasce a Napoli il poeta, drammaturgo e saggista italiano Salvatore Di Giacomo.

Nato da Francesco Saverio e Patrizia Buongiorno, conseguì la licenza ginnasiale presso il collegio della Carità. Si iscrisse poi nel 1875 al liceo “Vittorio Emanuele”, dove fu suo insegnante di lettere italiane V. Padula. Ancora studente, fondò e diresse un giornale letterario Il Liceo, cui collaborò lo stesso Padula. Per compiacere il padre, medico, si iscrisse poi alla facoltà di medicina, ma al terz’anno l’abbandonò per darsi al giornalismo. Con O. Fava e V. Pica fondò Il Fantasio, periodico letterario tra i più brillanti di Napoli intorno al 1880. Poi, per un breve periodo, fu impiegato presso la tipografia Giannini. Nel 1882 passò a collaborare a vari giornali (era l’epoca d’oro del giornalismo napoletano), fra cui Il Corriere del mattino diretto da M. Cafiero, con una serie di racconti fantastici – fra Hoffmann e Poe – ambientati in una immaginaria città tedesca popolata di sinistri studenti e di scienziati maniacali. In quel periodo strinse amicizia con R. Bracco e cominciò a frequentare gli ambienti artistici e letterari fra cui il cenacolo della piccola birreria Strasburgo a piazza Municipio. Sempre nel 1882 iniziò a collaborare al Pro Patria, alla Gazzetta, al Pungolo, al Corriere di Napoli (dove si firmava “II paglietta” per la cronaca giudiziaria), e pubblicò su Il Corriere del mattino il sonetto Uocchie de suonno, che aprirà nel 1907 l’edizione ricciardiana delle Poesie. Il sonetto subito rivela, insieme con gli altri due del gruppo di Nannina, i tre aspetti cardine della poesia digiacomiana: il colore, la melodia, l’azione scenica. Ancora in quello straordinario 1882, dopo aver conosciuto il giovane musicista M. Costa, il D. compose la canzone Nannì! Meh, dimme ca sì, la prima di una lunghissima serie che egli scrisse per la popolare festa di Piedigrotta, di cui diventò presto l’acclamato poeta non senza danno, però, per la sua fortuna critica.

L’anno dopo, presso l’editore Pierro di Napoli uscirono le novelle Minuetto Settecento, che ricevettero i lusinghieri apprezzamenti di Fogazzaro, nonché le lodi e gli utili consigli di Matilde Serao e di F. Martini. Nel 1884 perse il padre in seguito a una epidemia di colera, venendosi a trovare in difficili condizioni economiche. Nello stesso anno pubblicò i “bozzetti napoletani” Nennella e, sempre a Napoli, i Sonetti con una dedica a Olga Ossani, una giornalista che si firmava Febea. Due anni dopo pubblicò le novelle Mattinate napoletane, dove il colore e un tenero strazio sentimentale predominano in una scrittura impressionistica, e a volte contemporaneamente di forte espressione, o pervasa d’idillio e malinconia. In quello stesso 1886 uscirono i sonetti ‘Ofùnneco verde. Nel 1887, presso Pierro, uscì il poemetto ‘Omunasterio che insieme con un altro, titolato Zì munacella (1888), è una storia conventuale di sospiri amorosi, dove di più predomina non la vita claustrale ma il potente richiamo della vita di fuori. Nelle novelle Rosa Bellavita, invece, che il D. pubblicò nello stesso anno di Zì munacella, le storie di passione, di gelosia, di vendetta hanno libero corso: storie popolari, però, sempre trattate con un realismo che a tratti si stempera e trapassa nella psicologia. Presso l’editore Bideri uscì nel 1889 il dramma in tre atti Mala vita, “scene popolari napolitane”, che l’anno precedente era stato rappresentato in numerose città con notevole successo. Lo stesso Verga ne scrisse con parole entusiastiche.

Mala vita era stato tratto, con la collaborazione di G. Cognetti, dalla novella Il voto (e nell’edizione definitiva del Teatro si intitolerà ‘Ovoto). È la vicenda a sfondo sociale dell’impossibile redenzione di una prostituta costretta dalla forza del coro sociale a ricadere nel primitivo mestiere. Sempre dall’editore Bideri, il D. pubblicò nel 1891 Canzoni napolitane, illustrate da E. Rossi. Il meglio della canzone napoletana s’avvalse dei versi del Di Giacomo, che per quasi trent’anni non smise di comporre per Piedigrotta. La raccolta Canzoni napolitane va letta pensando sempre alla destinazione musicale dei versi, i quali qui si rarefanno in pura melodia assai più che altrove. Ricordiamo alcune che hanno fatto epoca: A Marechiare; ‘E spingole frangese, la delicatissima Palomma e’ notte. Nel 1892 il Di Giacomo fondò insieme con il Croce e con altri la rivista Napoli nobilissima, e nello stesso anno subentrò – insieme con R. Bracco – a Matilde Serao presso la rubrica Api, mosconi e vespe del Corriere di Napoli. Ma ormai la sua parabola giornalistica volgeva al termine. La collaborazione ai giornali lo stancava, aveva bisogno di maggiore concentrazione. Scoppiato di nuovo il colera a Napoli, memore della disgraziata morte del padre, si trasferì a Santa Maria Capua Vetere, con la madre e la sorella.

Nel dicembre di quell’anno assunse l’incarico di vicebibliotecario presso il conservatorio “S.Pietro, a Maiella”, ma l’anno dopo passò alla Biblioteca universitaria. Fu poi incaricato della sistemazione della biblioteca dell’istituto di belle arti, dove ebbe modo di frequentare agevolmente i suoi amati amici pittori, l’ambiente dei quali fu forse il più congeniale alla sua natura. Nel 1898, ancora presso l’editore Pierto, pubblicò Ariette e sunette, la raccolta che contiene alcune fra le più celebrate liriche del Di Giacomo. L’anno 1900 venne rappresentato al S. Ferdinando, e pubblicato, l’atto unico ‘Omese mariano che il D. ricavò dalla novella Senza vederlo. Presso l’editore Laterza di Bari, nel 1903 uscirono le novelle di Nella vita. In quell’anno il Croce intervenne autorevolmente su La Critica con un saggio sulla poesia dialettale manifestando la sua ammirazione per l’opera del Di Giacomo, nonostante qualche riserva sui lavori giovanili: è il primo, notevole riconoscimento ufficiale della sua poesia. Sempre nel 1903 assunse la direzione della biblioteca Lucchesi Palli, sezione della Nazionale di Napoli, incarico che portò avanti con competenza e amore. L’attività di bibliotecario fu quella dove egli raggiunse se non la felicità almeno la maggiore serenità di cui poté disporre nella sua vita. Fu alla Lucchesi Palli che conobbe Elisa Avigliano, romantica studentessa di quasi vent’anni più giovane, che dopo undici anni di difficile, tortuoso fidanzamento sposò nel 1916, soltanto una volta morta la madre.

Di recente sono state ritrovate e pubblicate le Lettere a Elisa (1973), che illuminano sufficientemente sul carattere del D. e la sua sensibilità esacerbata dalla paura del mondo: un carattere mite e fragile che può farsi crudele e far soffrire per nevrotico timore di soffrire, la dipendenza dalla madre, l’incapacità di sostituire l’immagine di lei con quella di un’altra donna che potesse occupare nel suo animo un posto altrettanto importante. Vicino ai cinquant’anni, il D. non aveva ancora raccolto in un unico volume le sue poesie sparse presso vari editori. La prima edizione completa delle Poesie uscì per l’intervento del Croce e dell’amico F. Gaeta presso l’editore Ricciardi soltanto nel 1907, con il glossario a cura del Gaeta e le note dello stesso Croce: un’edizione storica con cui la benemerita casa editrice napoletana iniziò la sua attività. Vide la luce così anche la raccolta Vierze nuove, che contiene il gruppo di liriche ‘A strata, dove ritornano il clima e gli ambienti già intravisti in ‘O fùnneco verde, precedentemente pubblicate (1900) in una serie di sei cartoline dal titolo Napoli illustrata. Nel 1909 avvenne il debutto trionfale dei due atti di Assunta Spina, rappresentati per la prima volta al teatro Nuovo di Napoli. Il dramma, tratto dall’omonima novella della raccolta Rosa Bellavita, dove l’enigmatica figura di Assunta Spina prima istiga il marito a vendicarla dell’amante che l’ha lasciata e offesa, poi, quando questi viene ucciso a coltellate dal marito che si dà alla fuga, dichiara alla legge di essere stata lei ad assassinarlo, nel passare dal racconto alla scena perde alcuni inquietanti significati, ma rimane uno dei più riusciti del teatro digiacomiano.

L’ultima raccolta di poesie Canzone e ariette nove vide la luce nel 1916 sempre presso Ricciardi. Vi si legge un Di Giacomo ripiegato su se stesso, a tratti mesto, sempre più autunnale. Dopo essere stato proposto nel 1924 per il Senato, proposta cui non seguì la convalida perché si disse, amareggiandolo molto, che Piedigrotta non poteva entrare a palazzo Madama, si riparò con la nomina ad accademico d’Italia nel 1929. Ma il Di Giacomo, colpito fin dall’estate del 1930 da un attacco uricemico seguito da una grave forma di atassia nervosa che lo ridusse alla quasi immobilità, non partecipò mai ad alcuna seduta. Il fascismo, poi, lo intimidiva, lo stordiva, e certo non poteva alleggerire la profonda misantropia che lo colse negli ultimi anni.

Morì nella notte fra il 4 e il 5 aprile 1934 a Napoli, dopo un nuovo attacco uricemico.

 

Risultati immagini per OMICIDIO SALVO LIMA12/03/1992 – A Palermo viene ucciso dalla mafia il politico Salvo Lima.

Nato nel 1928, figlio di un’archivista del comune di Palermo, si laureò in giurisprudenza e trovò un impiego presso il Banco di Sicilia. Nel 1956 Lima venne eletto consigliere comunale a Palermo e divenne un sostenitore di Giovanni Gioia, aderendo alla corrente politica di Amintore Fanfani nella Democrazia Cristiana, e divenendo nello stesso anno assessore ai lavori pubblici. Nel 1958 Lima venne eletto sindaco di Palermo e il consigliere comunale Vito Ciancimino (anch’egli sostenitore di Gioia) gli subentrò nella carica di assessore ai lavori pubblici: durante il periodo della giunta comunale del sindaco Lima, delle 4.000 licenze edilizie rilasciate, 1600 figurarono intestate a tre prestanome, che non avevano nulla a che fare con l’edilizia; vennero apportate numerose modifiche al piano regolatore di Palermo che permisero alla ditta di Nicolò Di Trapani (pregiudicato per associazione a delinquere) di vendere aree edificabili ad imprese edili mentre il costruttore Girolamo Moncada (legato al boss mafioso Michele Cavataio) ottenne in soli otto giorni licenze edilizie per numerosi edifici; il costruttore Francesco Vassallo (genero di Giuseppe Messina, capomafia della borgata Tommaso Natale) riuscì ad ottenere numerose licenze edilizie nonostante violassero le disposizioni del piano regolatore.

Nel 1962 Lima divenne segretario provinciale della Democrazia Cristiana di Palermo fino al 1963 e poi dal 1965 al 1966 venne rieletto sindaco. Nel 1968 Lima venne eletto alla Camera dei deputati ed abbandonò la corrente fanfaniana passando a quella andreottiana: grazie al contributo elettorale di Lima, la corrente andreottiana riuscirà ad ottenere rilievo nazionale. Nel 1972 Lima venne nominato sottosegretario alle Finanze nel Governo Andreotti II e riconfermato durante i Governi Rumor IV e V mentre nel 1974 venne nominato sottosegretario al Bilancio e programmazione economica durante il Governo Moro IV. Nel 1979 Lima venne eletto al Parlamento europeo, venendo riconfermato per altre due legislature.

Il 12 marzo 1992, dopo essere uscito dalla sua villa a Mondello per recarsi all’hotel Palace a organizzare un convegno in cui era atteso Giulio Andreotti, Lima era a bordo di un’auto civile Opel Vectra guidata da un docente universitario, Alfredo Li Vecchi, con un suo collaboratore e assessore provinciale, Nando Liggio; un commando con alla testa due uomini in motocicletta sparò alcuni colpi di arma da fuoco contro la vettura bloccandola. Gli altri occupanti del mezzo non furono presi di mira dagli assassini. Lima scese dall’auto di corsa cercando di mettersi in salvo, ma fu subito raggiunto dai killer e ucciso con tre colpi di pistola.

Nel 1998, nel processo per l’omicidio Lima, vennero condannati all’ergastolo i boss mafiosi Salvatore Riina, Francesco Madonia, Bernardo Brusca, Pippo Calò, Giuseppe Graviano, Pietro Aglieri, Salvatore Montalto, Giuseppe Montalto, Salvatore Buscemi, Nenè Geraci, Raffaele Ganci, Giuseppe Farinella, Benedetto Spera, Antonino Giuffrè, Salvatore Biondino, Michelangelo La Barbera, Simone Scalici e Salvatore Biondo mentre Salvatore Cancemi e Giovanni Brusca vennero condannati a 18 anni di carcere e i collaboratori di giustizia Francesco Onorato e Giovan Battista Ferrante (che confessarono il delitto) vennero condannati a 13 anni come esecutori materiali dell’agguato. Nel 2003 la Cassazione annullò la condanna all’ergastolo per Pietro Aglieri, Giuseppe Farinella, Giuseppe Graviano e Benedetto Spera mentre confermò le altre condanne.