ACCADDE OGGI – 06/03/2019

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6 Marzo 2019 0 Di Delfino Sgrosso

Risultati immagini per CAPPELLA SISTINA06/03/1475 – Nasce a Caprese, in provincia di Arezzo, lo scultore, pittore, architetto e poeta Michelangelo Buonarroti.

Ancora in fasce, viene portato dalla famiglia a Firenze. Figlio di Ludovico Buonarroti Simoni e di Francesca di Neri, viene avviato dal padre agli studi umanistici sotto la guida di Francesco da Urbino, anche se ben presto dimostra tale inclinazione al disegno che, in contrasto con i progetti paterni, passa alla scuola del già celebrato maestro fiorentino Ghirlandaio. Il maestro rimane stupefatto vedendo i disegni eseguiti dal tredicenne Michelangelo. In possesso di una fortissima personalità e di una volontà ferrea fin da giovane, Michelangelo doveva per la verità rimanere, per contratto, almeno tre anni a bottega dal Ghirlandaio, ma nel giro di un anno abbandona la comoda sistemazione, anche a causa della grande passione per la scultura che egli nutriva, per trasferirsi nel Giardino di San Marco, una libera scuola di scultura e di copia dell’antico che Lorenzo de’ Medici aveva appunto istituito nei giardini di San Marco (dove fra l’altro i Medici avevano già raccolto una notevole collezione di statuaria classica), ponendovi a capo lo scultore Bertoldo, discepolo di Donatello.

Notato da Lorenzo il Magnifico, Michelangelo viene da lui accolto nel suo palazzo dove, a contatto con i grandi pensatori umanisti (tra i quali Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Poliziano), ha modo di arricchire la propria cultura. Alla corte dei Medici egli esegue le sue prime sculture, la “Battaglia dei Centauri” e la “Madonna della Scala”. Nel 1494, impaurito dalle voci di una prossima caduta dei Medici (nel novembre di quell’anno Carlo VIII era entrato a Firenze), Michelangelo fugge a Bologna ove, ammirati i rilievi di Jacopo della Quercia, scolpisce un bassorilievo per il Duomo di San Petronio.  Dopo un breve viaggio a Venezia, torna a Bologna e resta per circa un anno ospite di Gianfrancesco Aldrovandi, dedicandosi a studi letterari e al componimento scultoreo dell’arca di San Domenico. Torna a Firenze nel 1495 e – nello stesso periodo in cui il Savonarola tuona contro il lusso e l’arte paganeggiante – crea il Bacco Ubriaco (Bargello). Si dirige quindi a Roma ove scolpisce la famosa “Pietà” Vaticana. Fra il 1501 ed il 1505 è di nuovo a Firenze, subisce qualche suggestione leonardesca e produce una serie di capolavori: il “Tondo Doni” (Uffizi), il “Tondo Pitti” (Museo del Bargello), il perduto cartone per l’affresco della “Battaglia di Cascina” e l’ormai famosissimo David di marmo, collocato all’ingresso di Palazzo Vecchio come simbolo della Seconda Repubblica ma anche come apice dell’ideale rinascimentale dell’uomo libero e artefice del proprio destino.

Nel marzo del 1505 papa Giulio II chiama l’artista a Roma per commissionargli il monumento sepolcrale, dando così l’avvio ad una vicenda di contrasti con il pontefice e i suoi eredi, che si concluderà solamente nel 1545 con la realizzazione di un progetto assai ridotto rispetto al grandioso piano iniziale: il mancato compimento di quest’opera fu assai doloroso per Michelangelo, che ne parlò come di una “tragedia della sepoltura”. Intanto i tanti impegni costringono l’artista a continui spostamenti tra Firenze, Roma, Carrara e Pietrasanta, dove si prende cura personalmente della cava dei marmi per le sue sculture. Nel maggio del 1508, dopo una clamorosa rottura e riappacificazione con papa Giulio II, firma il contratto per la decorazione del soffitto della Cappella Sistina, alla quale attende ininterrottamente dall’estate di quell’anno fino al 1512. Cinquecento metri quadri decorati da un solo uomo in quattro anni di accanito lavoro e che rappresentano la piena espressione degli ideali artistici del Rinascimento affidati a un’interpretazione neoplatonica della Genesi.  Giulio II muore nel 1513 e si ripropone il problema del monumento funebre: di questo secondo incarico ci restano il Mosè e i due Schiavi (Schiavo Ribelle e Schiavo Morente) conservati al Louvre, anche se di fatto la tomba sarà completata solo nel 1545, con un’ultima versione, in gran parte affidata agli aiuti. Michelangelo comunque lavora anche ai progetti per la facciata di San Lorenzo, e a quelli per le tombe Medicee, al Cristo per Santa Maria sopra Minerva. Nell’autunno del 1524 il nuovo papa dei Medici, Clemente VII, fa iniziare all’artista i lavori per la biblioteca Laurenziana e proseguire quelli per la tomba che, principiati nel 1521, saranno portati a termine solo nel 1534, anno in cui Michelangelo si stabilisce definitivamente a Roma. Verso il settembre dello stesso 1534 sono le prime trattative per il Giudizio Finale, che doveva coprire la parte dell’altare della Cappella Sistina; quest’opera che doveva suscitare tanto successo e tanto clamore, verrà terminata dall’artista nel 1541.

Gli avvenimenti personali di questo periodo hanno una eco anche sull’arte di Michelangelo, soprattutto l’amicizia con Tommaso de’ Cavalieri, al quale dedica poesie e disegni, e l’amore per la poetessa Vittoria Colonna, marchesa di Pescara, che lo avvicina ai problemi della riforma e alle idee circolanti nell’ambiente dei Valdesi. Tra il 1542 e il 1550 l’artista attende agli affreschi per la cappella Paolina, sempre in Vaticano, si dedica alle imprese architettoniche, come il compimento di Palazzo Farnese, la sistemazione del Campidoglio, e soprattutto i lavori per San Pietro, alla cui fabbrica viene preposto da Paolo III nel 1547, e porta a termine diverse sculture, dalla pietà del duomo di Firenze, alla quale lavora nel 1555, alla estrema incompiuta Pietà di Rondinini. Michelangelo già dai contemporanei fu acclamato come il maggiore artista di tutti i tempi, e influì grandemente su tutta l’arte del secolo. Ammirato senza riserve da alcuni, odiato da altri, onorato da papi, imperatori, principi e poeti, Michelangelo Buonarroti muore il 18 febbraio 1564.

 

Risultati immagini per FRANCESCO GUICCIARDINI06/03/1483 – Nasce a Firenze lo scrittore, storico e politico Francesco Guicciardini.

I genitori sono Piero di Jacopo Guicciardini e Simona Gianfigliazzi. La sua famiglia è molto nota a Firenze e in Toscana, poiché i suoi membri sono assidui frequentatori della corte medicea. Francesco riceve fin da piccolo un’educazione umanistica in casa, dedicandosi allo studio di grandi autori dell’antichità classica come Senofonte, Tacito, Tucidide e Livio. Successivamente si iscrive presso la facoltà di giurisprudenza a Firenze, frequentando anche i corsi del celebre professore Francesco Pepi. Dopo essersi iscritto all’Università di Firenze, soggiorna dal 1500 al 1502 nella città di Ferrara, per poi trasferirsi a Padova, in Veneto, per seguire le lezioni di altri importanti professori dell’epoca. Nel 1505 torna nella sua città natale dove ricopre l’importante incarico di Istituzioni di diritto civile, sebbene non abbia ancora conseguito la laurea. L’anno seguente finisce gli studi e ottiene il diploma di laurea. Sempre nello stesso anno intraprende, ottenendo un grande successo, la carriera di avvocato e sposa senza il consenso della famiglia Maria Salviati, donna appartenente a una famiglia che non ha buoni rapporti con il gonfaloniere di Firenze, Pier Soderini.

Sposando la donna pensa di poter fare una buona carriera anche in ambito politico, poiché la famiglia della sua consorte è fortemente schierata nel contesto politico fiorentino. Grazie al suocero Guicciardini in questi anni riesce anche a ottenere un titolo molto importante, ovvero quello di capitano dello Spedale del Ceppo. La sua attività politica diviene molto intensa dal 1508 al 1516; in questi anni si occupa dell’istruttoria rivolta contro il podestà Piero Ludovico da Fano e inizia anche a dedicarsi all’elaborazione di due opere importanti: “Le ricordanze” e “Storie fiorentine”. In “Storie fiorentine” Francesco Guicciardini analizza il periodo storico che è contrassegnato dalla celebre rivolta dei Ciompi, avvenuta nel 1378, e la celebre battaglia di Agnadello del 1509, in cui si scontrano l’esercito francese guidato dal re Luigi XII e l’esercito della Lega di Cambrai. In questo testo viene fatta una dura critica nei confronti di Lorenzo De Medici e si analizza anche la celebre figura di Girolamo Savonarola. Un giudizio molto importante che emerge dall’opera è inoltre quello sui savi che vengono descritti come coloro che devono guidare Firenze. Inoltre viene descritta in modo positivo la democrazia creata da Girolamo Savonarola.

Nel 1512, in seguito al prestigio raggiunto, Guicciardini viene inviato dalla Repubblica di Firenze come ambasciatore presso la Spagna di Isabella di Castiglia e di Ferdinando il Cattolico. In questi anni inoltre ricopre delle importanti cariche anche nell’amministrazione della Repubblica fiorentina. Nel periodo compreso tra il 1516 e il 1527 ricopre vari incarichi, come quello di avvocato concistoriale, sotto i due pontificati di papa Leone X e di papa Clemente VII, entrambi appartenenti alla famiglia Dei Medici. In questo periodo diventa anche governatore di Modena e governatore di Reggio Emilia. Nel 1521 ottiene l’incarico di commissario generale dell’esercito pontificio e sempre in questo periodo si dedica alla stesura di altre due opere molto importanti: “Storie d’Italia” e “I Ricordi”. In “Storie d’Italia” analizza le vicende drammatiche che colpiscono l’Italia a cavallo tra 1400 e 1500, come ad esempio la discesa di Carlo VIII in Italia nel 1494, l’episodio del Sacco di Roma effettuato dai lanzichenecchi nel 1527. L’opera si articola in venti libri e racconta quindi gli anni di grande difficoltà vissuti dall’Italia, che è diventata una terra di conquista straniera. I “Ricordi” invece sono articolati in due quaderni contenenti più di duecento pensieri dell’autore. Guicciardini finisce di revisionare il testo nel 1530. Ad esempio un tema che viene trattato nel testo è quello della religione, in cui è fatta una dura critica al clero cattolico che dà una visione distorta del messaggio evangelico originale.

Dopo il lungo periodo trascorso a servizio dei papi medicei torna a Firenze dove decide di ritirarsi a vita privata nella sua villa a Finocchietto, una località vicino a Firenze. Nel periodo trascorso nella sua villa scrive “L’Oratio accusatoria e la difensoria”, una lettera consolatoria e “Le Considerazioni intorno ai Discorsi di Machiavelli sopra la prima deca di Tito Livio”. In quegli anni gli vengono confiscati i beni, per cui deve lasciare la Toscana per doversi nuovamente stabilire a Roma, ritornando al servizio del papa Clemente VII, che gli affida l’incarico di diplomatico di Bologna. Dopo essersi ritirato a vita privata presso la sua villa di Arcetri, Francesco Guicciardini muore il 22 maggio 1540.

 

Risultati immagini per DAVY CROCKETT06/03/1836 – Muore ad Alamo, negli Stati Uniti, il militare, politico, cacciatore, avventuriero ed eroe popolare del Far West statunitense Davy Crockett.

Davy Crockett – spesso indicato anche come David Crockett – eroe popolare del Far West statunitense, nasce il 17 agosto 1786 nello Stato del Tennessee, nella Contea di Greene, presso Limestone, da una famiglia in difficili condizioni economiche: i genitori, infatti, a causa dell’esondazione del fiume Nalichucky hanno perso tutti i loro beni e la casa, e devono quindi fare i conti con una notevole carenza di mezzi. Cresciuto dal padre (titolare di una locanda), che lo considera un buono a nulla, a nerbate, Davy se ne va di casa per fare il mandriano e l’aiutante dei carovanieri. Cresciuto senza un’istruzione vera e propria (imparerà a leggere e a scrivere solo poco tempo prima di sposarsi), lavora anche a Boston, e nel frattempo coltiva la passione per la caccia, soprattutto a opossum e tassi, la cui pelle è molto pregiata e quindi può essere venduta con guadagni più consistenti. Con il passare del tempo, la caccia diventa il suo solo lavoro: abbandonati gli opossum, diventa famoso come cacciatore di orsi in tutto il Tennessee.

Dopo essersi sposato, nel settembre del 1813 lascia moglie e figli quando viene a sapere che i coloni stanno per essere attaccati dagli indiani, e si aggrega all’esercito comandato dal generale Andrew Jackson. Impegnato come esploratore contro gli indiani Creek, riesce grazie al suo coraggio a sconfiggere i nemici dopo il fallimento del piano organizzato da Jackson; così, tornato alla vita civile, viene sommerso di riconoscimenti dai suoi concittadini, che lo eleggono giudice di pace e quindi colonnello del reggimento locale. Mentre riprende la caccia agli orsi, entra a far parte dell’Assemblea legislativa del Tennessee; quindi, si candida come deputato e viene eletto, nel 1828, al Congresso degli Stati Uniti. Nel frattempo, Jackson è diventato presidente della nazione come rappresentante del partito democratico, e appare intenzionato a violare il trattato di pace che aveva firmato con i Creek anni prima. Davy Crockett, invece, sceglie di essere leale al patto, e pertanto si oppone con rigore al progetto di legge presidenziale. A quindici anni di distanza dalla battaglia di cui si era reso protagonista, insomma, si rende conto che gli indiani non erano altro che pacifici contadini con gli stessi diritti dei coloni. Alle nuove elezioni, però, Davy non guadagna il consenso sperato, e viene battuto dai jacksoniani. Ciò non gli impedisce di continuare a opporsi, al punto che, vista la sua fama aumentare, viene eletto per una terza legislatura al Congresso. Si tratta, però, della sua ultima esperienza politica: dopo la terza legislatura, in virtù dell’opposizione a Jackson non viene rieletto.

Dopo essersi recato in numerosi villaggi dell’Est, ormai disgustato e deluso dalla vita politica, per pubblicizzare il libro da lui scritto “A narrative of the life of David Crockett”, decide di abbandonare Washington in maniera definitiva. Prende parte, così, alla guerra combattuta dal Texas per ottenere l’indipendenza dal Messico del dittatore Antonio Lopez de Santa Anna. Partito con sedici patrioti (che costituiscono, appunto, la “compagnia di Crockett”), Davy giunge a Fort Alamo dopo aver aderito alla rivoluzione. I comandanti del forte si dimostrano decisamente contenti dell’arrivo di Crockett, al punto di chiedergli di prendere il comando delle operazioni come colonnello: egli, però, rifiuta, pur ringraziando, spiegando di essere giunto per combattere come un patriota, e non per comandare. Alla fine di febbraio, Fort Alamo subisce l’attacco dei nemici: a presidiarlo ci sono meno di duecento texani, che tuttavia riescono a provocare gravi perdite tra gli avversari.

La sera del 5 marzo 1836, però, Alamo viene accerchiato da 5mila messicani, che lo colpiscono a cannonate e lo distruggono senza incontrare resistenza: il generale Sam Houston, chiamato per formare una milizia di duemila texani, non riesce a fermare l’assalto. Davy Crockett muore insieme ai suoi compagni di battaglia, nella lotta per conquistare l’indipendenza e la libertà del Texas. Una morte coraggiosa e umana, un sacrificio da vero americano: pochi giorni dopo, nell’aprile del 1836, la battaglia di San Jacinto consegnerà la vittoria ai texani, che dichiareranno il proprio Stato indipendente e eleggeranno capo del governo il generale Sam Houston. Alla figura di Davy Crockett sono stati dedicati ben quattordici film: tra gli altri, vale la pena di citare “Alamo – Gli ultimi eroi” (titolo originale: “The Alamo”), con il protagonista interpretato da Billy Bob Thornton nel 2004; e “La battaglia di Alamo” (titolo originale: “The Alamo”), con il protagonista interpretato da John Wayne nel 1960. Spesso rappresentato con giacche in pelle di camoscio o daino e pantaloni di cuoio, Crockett viene raffigurato sempre con un grosso cinturone in vita e l’inseparabile fucile nella mano sinistra: si tratta, per altro, di un equipaggiamento frutto dell’invenzione degli storiografi e della drammaturgia più moderna, che il vero Crockett non ha mai indossato nella realtà.